«Il Pd è primo in Italia. Frutto di una linea chiara, di un partito unito. Non era così un anno fa. Risultato di un sostegno costruttivo e serio al governo Draghi, senza ambiguità sull’aggressione all’Ucraina e con un’idea di alleanze vaste nelle città. La ricerca dell’unità non ha alternative, con questa legge elettorale maggioritaria e con il taglio dei parlamentari vincerà l’alleanza democratica e progressista o il centrodestra».
Il segretario del Partito democratico Enrico Letta, intervistato dal Corriere, legge così la tornata del voto amministrativo in attesa dei ballottaggi del 26 giugno. Anche se il campo largo è ancora molto diviso e i Cinque Stelle sono in forte crisi di consensi, come testimoniano i risultati di Palermo, Genova e L’Aquila.
«Il tema non è escludere o mettere veti. Questa destra la battiamo solo con le alleanze», ribadisce Letta. «Lo dico soprattutto a Carlo Calenda che è stato eletto con il Pd più volte. C’è una destra competitiva e forte, vinciamo solo se uniti. E per avere successo serve un’alleanza guidata da un grande partito. Essere primi è la consacrazione del grande lavoro fatto».
E ancora: «Noi vogliamo collaborare con Calenda e in molte città abbiamo collaborato. Lui ha buoni risultati in alcune realtà, noi in tutto il Paese. Alle prossime elezioni politiche gli italiani voteranno e sceglieranno. Serve un progetto comune per vincere, non ci sono piani B. È vero, ci sono coalizioni affaticate ma guardiamo queste amministrative: è sempre centrodestra contro centrosinistra, nient’altro. Le ambizioni centriste hanno un senso se si va insieme. Senza schemi ideologici o di apparati. Costruiamo una coalizione vincente sui grandi temi: il lavoro e la competitività, la giustizia sociale, le opportunità per i giovani, l’ambiente, i diritti. È vero: non ci si allea solo “contro”, ma in nome di una visione di futuro e di valori».
Ma «vedo bene che nel nostro campo pezzi dell’alleanza pensano ancora che sia meglio contrapporsi piuttosto che unirsi», dice Letta.
Mentre sul flop dei Cinque Stelle, commenta: «Hanno tradizionalmente difficoltà alle amministrative, non avevo particolari aspettative. Ragioneremo con loro».
Certo, prosegue, «giocavamo fuori casa, la volta scorsa solo 6 capoluoghi su 26 erano del centrosinistra. Vinciamo a Taranto, a Padova, a Lodi, dove ho chiuso la campagna elettorale, che strappiamo alla Lega con un giovane sindaco di 25 anni. Andiamo al ballottaggio a Verona, a Parma, Piacenza, Como, Gorizia e in tante altre città. I risultati molto positivi al Nord, ci dicono che alle Regionali la Lombardia sarà contendibile. Dobbiamo trovare una candidata o un candidato che unisca».
La risposta di Calenda
Ma la risposta del leader di Azione Carlo Calenda è un rifiuto all’invito che arriva dal segretario Dem. Le comunali, spiega in un’intervista sulla Stampa, dimostrano che c’è spazio tra i due poli, abbastanza per una forza «europeista, riformista che va dal 10% al 20%». Il leader di Azione dà per finito il M5S e chiude la porta al Pd: «Andremo da soli, perché al Nazareno non comanda Letta ma Zingaretti, Bettini, Boccia, Provenzano… E loro hanno il populismo nel Dna. Noi invece vogliamo essere il perno di una coalizione senza populisti e sovranisti che sostenga un “Draghi-bis”».
E «non basta dire: “Sennò vince la destra”. Non concepisco la politica come non far vincere ma come fare una proposta per governare. E non si può governare con il M5S. Punto».
Calenda spiega: «Come dicono i numeri a L’Aquila, a Catanzaro, a Palermo, c’è un’area che va dal 10% al 20% che si è stancata di poli che hanno dentro tutto e il contrario di tutto. Elettori che vogliono una proposta per governare, non per non far vincere l’altro. Dove il M5S non presenta il simbolo – come a Verona – noi siamo disponibili, se il candidato è di qualità. Come siamo disponibili a lavorare con le forze di centrodestra europeiste e non sovraniste, se si sganciano dai populisti».
Calenda spiega meglio: «Non vogliamo fare l’ago della bilancia ma il perno di una coalizione senza populisti e sovranisti. L’unica è andare avanti con un Draghi-bis in un governo di larga coalizione. Se noi prendiamo dal 10% in su questa cosa avverrà».
Il no al campo largo è definitivo. Anzi, dice Calenda, «per me il campo largo non è mai esistito. Il Pd non ha mai voluto un’interlocuzione con me: arrivano, dicono “questo è il candidato, ci sono anche i Cinque stelle, se ti va bene ok, sennò ti attacchi”. Così non si va da nessuna parte».
Alle amministrative, prosegue, «è stato tragicamente sconfitto il “campo largo” e i Cinque Stelle si stanno dissolvendo. Boccia ha un’idea un po’ vetero comunista, pensa che l’elettorato lo sposta lui, che se non ci fossero stati i nostri candidati gli elettori avrebbero votato per i loro. Non funziona così. Esiste un’area di centro, liberale, che non ci pensa proprio a votare quei candidati. E a L’Aquila il nostro candidato ha preso più della Pezzopane, era Boccia a dover dire “veniamo con voi”».
E alle politiche «andremo da soli. Inutile continuare a parlare di “campo largo”. Il Pd andrà con il M5S, è nel Dna di chi controlla il partito, che non è Letta ma Zingaretti, Bettini, Boccia, Provenzano… Comandano loro e preferiscono i populisti ai riformisti».
La cosa che colpisce, dice poi Calenda in un’intervista al Corriere, «è che il Partito democratico non ha aperto nessun canale di discussione con noi, e ha costruito questa alleanza a partire dai 5 Stelle. Io non ho mai sentito Letta in queste Amministrative. Davanti a un’area riformista che si rafforza enormemente, il Pd l’unica cosa che fa, soprattutto per opera di Francesco Boccia, è siglare intese in tutti i comuni unicamente in rapporto con i 5 Stelle. Una miopia totale. Dopodiché, fatti loro».
Anche perché, «c’è un’area che rifiuta queste grandi coalizioni dove c’è tutto e il contrario di tutto. E che ci sia questo spazio è dimostrato anche dalla disastrosa mole delle astensioni». E aggiunge: «È chiaro che le due coalizioni non riescono più a portare la gente a votare. Questo è il dato vero. E noi recuperiamo un po’ di voto di centrodestra e di centrosinistra che altrimenti si sarebbe trasformato in astensione. Siamo andati bene in territori molto diversi, ma i profili dei nostri candidati erano simili: molto civici, molto equilibrati dal punto di vista politico e molto pragmatici. Insomma, mi pare di poter dire che questo spazio politico si sta allargando, a fronte di una situazione che vede invece la liquefazione del campo largo. Quello di quest’area riformista, pragmatica, che non sta tutto il giorno a parlare di fascisti e comunisti, è un lavoro importante anche per il Paese perché riporta la gente a votare».
E con Renzi che si fa? «La disponibilità a discutere con Italia viva ovviamente c’è», risponde Calenda. «Però faccio notare che nelle quattro città dove c’era un terzo polo al di là delle chiacchiere Italia viva ha sempre scelto di stare con la sinistra o con la destra. Quindi Renzi faccia meno dichiarazioni sull’area Draghi: piuttosto pensiamo a costruirla sul serio».