Consiglierei maggiore cautela nel giudicare il risultato delle elezioni legislative francesi. Emmanuel Macron ha sicuramente subito una sconfitta, tanto più importante se la si inquadra nel meccanismo elettorale maggioritario della V Repubblica. Ma Marine Le Pen e Jean-Luc Mélenchon hanno ottenuto (se è consentita una definizione un po’ contorta) un successo non vittorioso.
Certo, la stabilità non è assicurata, ma non è la prima volta che la Francia si è trovata in situazioni analoghe, non solo durante la IV Repubblica, ma anche nella V, voluta da Charles De Gaulle, la Repubblica che avrebbe dovuto sventare per sempre la perenne precarietà del sistema politico nell’immediato dopoguerra, sono sorti problemi imprevisti come la coabitazione (ovvero la ripartizione del potere) tra un presidente della Repubblica e un governo di differente orientamento dal suo: un imprevisto che capitò sia al socialista Francois Mitterrand che al gollista Jacques Chirac.
Ma ogni giorno ha la sua pena che non è uguale a quella dei giorni precedenti. Nel 2017 la vittoria di Macron (sia nelle elezioni presidenziali che in quelle legislative) segnarono un punto di svolta nella battaglia contro il sovranpopulismo che, dopo le elezioni di Trump negli Stai Uniti e il giro di boa anti-Europa e anti-euro che caratterizzava lo scenario politico del Vecchio Continente (e non solo), sembrava invincibile.
Macron invece volle impostare la sua campagna elettorale sulla prospettiva europea ed entro da vincitore nella piazza del Louvre tra le note dell’Inno alla gioia che precedette persino il suono della Marsigliese, l’inno che i francesi – di qualsiasi appartenenza – contano in ogni occasione.
Poi ci fu la brutta pagina del voto italiano del 4 marzo 2018. Gli impegni assunti da Macron («Non cederò nulla, nulla a quelli che promettono l’odio, la divisione o il ripiego nazionale. Non gli lascerò alcuna possibilità di dettare l’agenda») ci invitavano a resistere, a non rassegnarci, anche in Italia era pronta la capitolazione verso i nuovi vincitori. Basta pensare, a questo proposito, a quanti esponenti della sinistra insistevano per andare alle elezioni anticipate dopo la crisi da Papeete del governo Conte 1, che era proprio quanto voleva ottenere Nattei Salvini per chiedere agli italiani pieni poteri.
Anche quest’anno Emmanuel Macron si è trovato a essere il primo leader europeo a misurarsi con un evento imprevisto, la guerra in Ucraina dopo l’aggressione russa, e con la narrazione di un nuovo ordine mondiale preconizzato da Vladimir Putin nel suo discorso al Forum economico di San Pietroburgo. In sostanza, il presidente francese è stato il primo leader occidentale a misurarsi con l’elettorato in un contesto internazionale mutato di colpo, per di più durante il suo turno di presidenza semestrale della Ue.
Un contesto internazionale che ha mutato le priorità nella politica estera dei principali Paesi, condizionandone – cosa che non avveniva dall’immediato dopoguerra, la stessa politica interna, soprattutto economica. Era una battaglia da prima linea. Le elezioni francesi, poi, hanno messo in evidenza un altro aspetto: i cambiamenti geopolitici in corso determinano delle conseguenze anche sui sistemi politici di tutti i Paesi.
Sia Le Pen che Mélenchon hanno sfidato Macron anche sulla politica estera, assumendo, in sostanza, la visione dello Zar del Cremlino. Non è come da noi che la partita si gioca ancora sull’opportunità o meno dell’assistenza militare all’Ucraina; le opposizioni francesi sono già più avanti (le elezioni hanno accelerato i processi); e condividono un disegno di politica estera che muterebbe radicalmente la tradizionale posizione della Francia nel nuovo ordinamento internazionale.
Torniamo di nuovo alle parole di Putin a San Pietroburgo: «Solo gli Stati forti e sovrani hanno voce in capitolo in questo ordine mondiale che sta riemergendo oppure sono destinati a diventare o a rimanere una colonia importante». Non si tratta forse dei concetti espressi anche dal tribuno di Nupes o dall’erede redenta di Vichy?
Già in Italia Vladimir Putin ha vinto (copyright Paolo Mieli) la guerra sui programmi delle televisioni. Ma la vittoria fuori casa dello Zar, sta sollecitando ulteriori tentazioni oscure anche da noi. Da un lato il successo del Nupes è un tonico per i deliri più radicali della sinistra, mentre l’affermazione del partito di Le Pen potrebbe indurre in tentazione Salvini.
L’esperienza delle opposizioni di estrema destra e di estrema sinistra, in Francia, (in alcuni collegi si sono scambiati i voti sui rispettivi candidati arrivati al ballottaggio), dimostrano però che non bastano l’operaismo, l’ambientalismo, la decrescita, lo sciovinismo e un pacifismo generico per sfondare.
Il leitmotiv unificante può essere solo Putin con la sua guerra totale dichiarata all’Occidente e ai suoi ordinamenti liberali. Del resto erano questi stessi valori i nemici comuni del nazismo e del comunismo. Si torna ai fondamentali?