Questione di feelingL’uomo incinto coi baffi, la legge 194 e la tragicommedia del postmodernismo

Questa storia di dare la priorità alle emozioni è sfuggita di mano se nel 2022 si critica la legge sull’aborto perché «si riferisce esclusivamente alle donne». Tutta questa ridicolaggine non può che essere un complotto della destra per far iscrivere le professoresse democratiche ai nazisti dell’Illinois

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La prima canzone che ricordi uscì quando avevo due anni, i miei genitori la ascoltavano ossessivamente, e perciò quasi cinquant’anni dopo, ogni volta che il postmodernismo c’ingiunge di preoccuparci di ciò che sentiamo, proviamo, percepiamo, io mi ritrovo a canticchiare: feelings, nothing more than feelings.

Questa cosa di dare la priorità alle nostre, santiddio, emozioni, ha preso la mano agli americani, e a cascata a noi, goffa provincia dell’impero. Ieri ero in chat con un’impiegata americana di Amazon che, in risposta alle mie proteste perché il libro che avevo pagato perché arrivasse il 31 non era ancora arrivato una settimana dopo, mi rispondeva, applicando probabilmente un modulo fisso per clienti insoddisfatti, che le dispiaceva molto per come la situazione mi faceva feel.

E quindi, in un’epoca il cui teorico è stato evidentemente Ligabue (l’amore conta, ma pure il genere sessuale, ma pure qualunque altra emotività ti venga in mente), è del tutto normale che una pagina di militanza abortista, Libera di abortire, ci spieghi che la 194 ha 44 anni e li porta malissimo.

Perché è una legge che dice che se vuoi abortire il personale sanitario deve provare a dissuaderti e dirti di pensarci un po’ su come fossi una cinquenne che vuole il gelato prima di cena e non è sicura dei propri feelings? Mmm, no. Perché prevede l’obiezione di coscienza anche coi medici in servizio negli anni Settanta tutti ormai abbondantemente in pensione e perciò non bisognosi di essere tutelati nei loro feelings col diritto all’obiezione? Mmm, no. Perché vieta di abortire privatamente, lasciandoti anche se solvibile in balìa dei capricci degli obiettori, e sovraccaricando le strutture pubbliche (qui pochi feelings e molta banale economia)? No, neanche questa è la rimostranza che hanno da fare all’impresentabile legge che in Italia regolamenta l’interruzione volontaria di gravidanza.

Il problema, ricopio sperando di non morire dal ridere prima di arrivare alla fine della citazione, è che la 194, «riflettendo le dinamiche di genere degli anni Settanta» (o le dinamiche biologiche da che esistono i mammiferi, a seconda che uno viva nei propri feelings o nella realtà), «si riferisce esclusivamente alle donne».

E mica abortiscono solo le donne, brutti arretrati che leggete e vi chiedete di cosa diavolo stiano parlando: «Per noi il Pride month è ricordare che anche le persone transgender e non binarie possono abortire». Propongo un emendamento: l’Italia ripudia la guerra a meno che qualche suo cittadino non si percepisca Napoleone.

Riepiloghiamo, prendiamo sul serio questa istanza, tanto non c’è bisogno di ridicolizzarla. Tu sei nata Maria Giuseppina: è il nome che ti hanno assegnato dopo aver osservato che avevi la vagina e non il pene, nell’ecografia o direttamente alla nascita; tu ora diresti che quello femminile è il «sesso assegnato alla nascita» perché sei preda d’un culto che Mamma Ebe in confronto era illuminista, un’ideologia che t’impedisce di capire che non è che in sala parto sorteggino dei sessi, esiste la biologia, l’hai studiata alle scuole medie. Ma andiamo con ordine.

Ti chiami Maria Giuseppina, ma ti percepisci non binaria, ti metti la schwa e tutte cose. Poi un giorno resti incinta, e dovresti farti delle domande, dirti che forse questo lavaggio del cervello che ti ha fatto il postmodernismo è una stronzata, che effettivamente sei una mammifera femmina e se ti accoppi con un mammifero maschio senza anticoncezionali (ti feelavi non binaria, mica potevi fare cose da donna quali prendere la pillola) può accadere tu resti incinta; guarda un po’, è accaduto, e neanche lo volevi, quindi ti tocca fare una delle quattro uniche cose che distinguono le umane mammifere dagli umani mammiferi: abortire (le altre sono mestruare, partorire e allattare).

Col cazzo (scusate la prescrittività patriarcale). Col cazzo, dice l’algoritmo (che mi pubblicizza mutande mestruali per uomini, giuro) e dici tu e dicono i tuoi lavandai di cervello. Mica sei tu che ti adeguerai alla normatività biologica. Sarà la legge che si adatta a te, dicendo che a partorire può essere non solo una donna ma anche un it (o come diavolo vogliamo chiamare quella che si feela non femmina né maschio).

E che dire delle «persone transgender» (vi siete mai chiesti perché solo di loro si ribadisca un vieppiù ridondante «persone»? Ve lo dico io: perché l’italiano è una lingua romanza, e dire «persone» è l’unico modo per non dire di che sottinsieme mammifero faccia parte l’oggetto della conversazione: i transgender, le transgender).

L’uomo incinto coi baffi, quello che una volta era una commedia con Mastroianni, adesso è abbastanza realtà da avere la sua brava emoji. Ho amiche assai progressiste che il giorno in cui la Apple ci ha fatto dono dell’uomo incinto hanno perso la pazienza; ho un amico convinto che tutto questo postmodernismo sia un complotto delle multinazionali per distrarci dai diritti economici; unendo i due aneddoti, viene fuori: tutta questa ridicolaggine non può che essere un complotto dei partiti di destra per far iscrivere le mie amiche professoresse democratiche ai nazisti dell’Illinois.

Sarà una grande vittoria delle istanze di genere. L’aborto neutro, e il travaso del ceto medio riflessivo come nuovo bacino elettorale di Giorgia Meloni. Tanto, se una tizia incinta può percepirsi uomo, loro possono votare i fascisti percependosi di sinistra: mica è più d’un feeling.

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