Fine degli acquisti netti di asset per stimolare l’economia dal prossimo 1 luglio. E dal 21 luglio rialzo di 25 punti base dei tassi di interesse per la prima volta dal 2011, seguito da un ulteriore rialzo nella riunione dell’8 settembre, che potrebbe essere addirittura di mezzo punto percentuale, se l’inflazione non si raffredderà. Dopo si procederà con un acquisto «graduale, ma sostenuto».
La Banca centrale europea all’unanimità ha deciso l’inversione di rotta, dopo il massiccio piano di stimoli, lanciato per contrastare gli effetti della pandemia, avviando la normalizzazione monetaria per frenare la corsa dei prezzi.
L’inflazione a maggio è arrivata fino all’8,1% in media nella zona euro, tra il forte rincaro dell’energia per la guerra della Russia all’Ucraina, ma anche per il perdurare degli choc dal lato dell’offerta, acuiti dalle strozzature nelle catene di approvvigionamento per via dei nuovi lockdown decisi dalla politica «zero Covid» in Cina. E questa inversione di rotta era ormai attesa. Con tutte le conseguenze che si porta dietro soprattutto per un Paese con un alto debito pubblico come l’Italia.
La situazione dei conti pubblici nazionali dunque si fa più difficile. Ci saranno conseguenze sul bilancio pubblico, perché aumenterà la spesa per interessi sul debito. Ma gli effetti saranno diluiti nel tempo.
I mercati hanno già scontato in parte le decisioni della Bce. Non a caso lo spread dei titoli di Stato decennali dell’Italia rispetto al bund tedesco ha superato, dal 2 giugno scorso, stabilmente i 200 punti base, arrivando ieri a 229, mentre un anno fa era a 106, e il rendimento degli stessi titoli decennali è salito al 3,7%, contro lo 0,80% di un anno fa.
Secondo l’Ufficio parlamentare di bilancio, un incremento «permanente» di 100 punti base sulla curva dei rendimenti dei titoli di Stato farebbe salire la spesa per interessi di 2,5 miliardi nel 2023, di 6,7 miliardi nel 2024 e di 10,1 miliardi nel 2025.
I margini di bilancio in mano al governo si riducono. Ma l’ottimo andamento delle entrate, in particolare dell’Iva, e il rinvio di alcune poste di bilancio – scrive il Corriere – consentiranno di finanziare anche il prossimo decreto legge di aiuti a imprese e famiglie senza ricorre a nuovo deficit. Per il nuovo decreto, ci vorranno, a breve, dai 4,5 ai 6,5 miliardi: 3,5 per prorogare di tre mesi le misure per calmierare le bollette di luce e gas, che scadono alla fine di giugno, mentre un miliardo al mese serve per prorogare il taglio delle accise sui carburanti, che scade l’8 luglio.
Ma questo sarà l’ultimo intervento finanziabile raschiando il fondo del barile. Poi, se la crisi continuerà, Draghi e Franco, per evitare di ricorrere allo scostamento di bilancio, sperano nell’arrivo di nuove risorse dall’Europa, perché i problemi posti dall’inflazione e dalla guerra in Ucraina non sono solo dell’Italia ma di tutti i Paesi europei, come fu per la pandemia. E come allora ci vorrebbe anche oggi una risposta comune.
Su questa linea il presidente del Consiglio Mario Draghi sta cercando di costruire un asse con il presidente francese Emmanuel Macron, ma resta l’incognita tedesca. Si capirà meglio al prossimo Consiglio europeo il 23 e 24 giugno. L’idea portata avanti dall’Italia è quella di un nuovo Recovery fund, o un fondo tipo Sure, utilizzato per contrastare la disoccupazione, che ha erogato all’Italia 27,5 miliardi di prestiti. Questa volta il nuovo fondo, sempre finanziato con l’emissione di titoli europei, dovrebbe supportare le misure di transizione verso l’energia verde, che richiedono investimenti aggiuntivi per superare il prima possibile la dipendenza dei Paesi europei dalla forniture di gas e petrolio russo.
Il problema è che un’eventuale intesa in Europa non è dietro l’angolo. Nel frattempo l’Italia potrà chiedere di accedere ai residui del Recovery fund, perché diversi Paesi non hanno chiesto tutto quello che potevano, come ha invece fatto l’Italia. Dopo il 30 giugno, termine ultimo per farlo (la Spagna ha annunciato che lo farà), le risorse avanzate potranno essere ripartire tra i Paesi Ue, Italia compresa. Ma al massimo, potremmo prendere 4-5 miliardi. Che non risolvono la situazione. È vero, ci sarebbe sempre la linea di prestiti per la sanità del Mes: anche queste risorse europee, cui l’Italia potrebbe attingere fino a 36 miliardi. E qui si aprirebbe lo scontro politico, con centrodestra e Cinque Stelle sono contrari.
Federico Fubini sul Corriere ricorda che «i numeri dell’ultimo rapporto sulla sostenibilità della Commissione Ue sono chiari: in media fino al 2032 l’Italia ha il maggior bisogno di prestiti lordi in Europa (oltre un quarto del Pil all’anno) e fra dieci anni può avere il debito pubblico più alto (oltre il 160% del Pil). Significa che da ora ogni euro di deficit va sottoposto a un test rigoroso: se e come aumenta stabilmente la capacità del Paese di crescere non fra sei settimane, ma fra sei anni. Sottoporre ogni decisione a quel test, è una promessa che tutti i partiti dovrebbero fare in vista del voto del 2023».