Contrasti poeticiVarsavia è l’unica città al mondo ad avere più di un cuore

Il primo è quello antico della città vecchia risorta. Il secondo si trova a Wola, ex quartiere industriale a ovest del centro, ora stella di punta di uno scenario urbano avveniristico. Un viaggio nella capitale polacca, dove le opere di Chopin riecheggiano nell’aria e tra le mura dei palazzi neoclassici

Il panorama dal Vistula Boulevard di Varsavia (ph. City of Warsaw)

Nella dimensione magica della notte, perdersi tra le vie di una città si rivela una munifica circostanza: quando il creato dorme, ascoltare gli echi della storia e percepire gli umori del presente non è solo una questione di sensibilità, bensì di opportunità, se è vero che al buio i confini del mondo e delle parole del giorno, dilatandosi fino a scomparire, offrono visioni diverse dello stesso scenario. Due città nel cuore dell’Europa, Varsavia e Lodz, si sono presentate all’appuntamento vestite di notturni pieni di contrasti e di molte luci. 

I primi hanno la forma piena delle vicissitudini di un passato ancora vivido nei paesaggi urbani, le seconde, come comete, puntano tutte al futuro e alla bellezza. Se l’arte del racconto è appannaggio della tecnica, Varsavia e Lodz hanno in dote una polifonia di voci uniche per rivelarsi ed essere ascoltate.

Com’è abbandonarsi ai suoni di una melodia che scorre sul lungo Vistola, in una notte di luna piena? Catartico. Sì. Perché è seguendo l’elemento primigenio dell’acqua, vita e sostanza del mondo, che comincia il viaggio a Varsavia. Il suo scorrere segna il ritmo di una storia che coincide con la nascita della città stessa, in un indefinito medioevo, spesso cornice d’elezione delle favole, di rigore tramandate e declinate in molteplici versioni. 

La fiaba ha contribuito a costruire l’identità di una capitale in fatto di miti, leggende e tradizioni. Piccolo villaggio di pescatori, abbarbicato sulle sponde della Vistola, si lascia sorprendere da un canto. Dicono fosse una sirena: ammaliata dal paesaggio aveva deciso di abitare in quel fiume. Ma dato che tutte le storie necessitano di un villain per produrre il lieto fine, ecco l’intervento del mercante senza scrupoli che rapisce la creatura dell’acqua per ricavare denaro dal suo bel canto. 

Liberata da un giovane e bello, figlio di un pescatore, assieme ad audaci compagni, si erge a protettrice della città. E Varsavia l’assurge a simbolo della propria identità e fierezza. Un vero esempio di sincretismo religioso che vede la capitale di una Nazione cattolica votarsi non a un santo bensì a una creatura mitologica. 

Non sapremo mai se la sirena di Varsavia sia la gemella della più famosa a Copenaghen, o se sia il frutto di una metamorfosi dell’ammaliante Rusalka, mitica figura femminile associata alle acque dei fiumi e dei laghi dal folklore slavo. Ma piace pensarlo, per sfatare la vena nera che accompagna la sua apparizione nelle notti di luna piena secondo la tradizione. 

Passeggiando sul lungo fiume, area che fino all’Ottocento ha sofferto fame e vissuto nel bisogno, le vocianti memorie si annullano a favore degli echi del notturno n.9, opera numero 2 di Chopin. Riecheggia nell’aria, con un movimento leggero e vagante, da quando gli ultimi raggi del sole con la loro luce hanno salutato l’ex centrale elettrica di Powiśle, nella sua nuova veste ludica a due passi dalla Vistola. E da lì ha veleggiato ancora una volta nell’aria, volteggiando sui giardini pensili e fluttuanti, sui tetti più romantici di tutta Europa: quelli della biblioteca dell’università. È possibile perdersi in questa oasi, creatura vivente a un tocco dal cielo della città. 

Street art a Varsavia (ph. Ł. Kopeć © City of Warsaw)

L’opera della paesaggista Irena Bajerska è una dimensione sacra e sospesa, dal tempo e dall’azione. L’unico movimento, al di là del fiume che taglia in due la città, quello del sole su Plac Zamkowy, gremita di giovani in fila per accedere al Castello Reale e, un po’ più addentro, nell’intima sala da concerto dove le dita e il cuore di Katarzyna Hushta, accompagnandosi al pianoforte, hanno segnato il cambio della guardia, congedando il giorno e celebrando colui che, delimitando il tempo, ha trasformato in musica la poesia della notte. 

Time for Chopin, suggestivo intermezzo concertistico dei più grandi interpreti del maestro romantico, che va in scena ogni sera all’imbrunire. Ore 18, qui, Varsavia. Esiste un tempo più sfuggente di quello che vede avvicendare la luce nel buio? È passato da lento traghettare a repentino cambio di scenario sul pieno centro della città vecchia, mostrando a tinte calde i frutti dell’ardore e determinazione con cui i polacchi l’hanno ricostruita, risorgendo dalle macerie in seguito alla furia devastatrice dell’occupazione nazista. 

Tra gli eminenti artefici della ricostruzione c’è Jan Zachwatowicz, il caparbio architetto e accademico che ha sposato la rinascita di Varsavia come missione di vita. Dal marzo scorso sorride nella piazza di fronte al Castello nella forma del tipico tributo con cui i posteri onorano il merito: la scultura di un uomo che ha riconsegnato non una città ma il cuore di una nazione, seppur non identico all’originale, al mondo intero. 

Varsavia è probabilmente l’unica città ad avere più di un cuore: il primo è quello antico della città vecchia risorta, al cui centro gli inconfondibili tetti rossi degli antichi palazzi cingono la bellezza della piazza del mercato, dove la più iconica delle sirene di Varsavia (ce ne sono diverse in giro per la città) troneggia, fendendo la sua spada. Il secondo si trova a Wola, ex quartiere industriale a ovest del centro, ora stella di punta di uno scenario urbano avveniristico, nella piazza più giovane della capitale e centro finanziario: sguardo puntato su Plac Europejski. Tappa per scoprire il nuovo volto della città di giorno e a maggior ragione al calare della sera. 

Eppure, non è il celebre e osannato Warsaw Spire a colpire il cuore, sebbene composto da tre grattacieli di puro, leggero e slanciato neo-modernismo al cui centro si slancia la vetta più alta (220 metri anelanti al cielo). Perché per raggiungere la piazza bisogna percorrere una via limitrofa. Già a metà strada ci si ferma: una sensazione, un vago sentimento incorniciato dai giovani alberi presenti in piazza. Procedendo l’immagine si chiarisce, e si presenta per ciò che è: vista su poetico contrasto. A fare da controcanto al paesaggio urbano rigenerato, che richiama certe atmosfere dell’East end londinese, due murali che sono parte integrante del progetto di rigenerazione targato Ghelamco. 

Dialogano con lo spettatore dalle facciate di un edificio del primo Novecento, opposti alla piazza. Sono i Giganti di François Schuiten – maestro della più nobile tradizione del fumetto franco belga, illustratore e scenografo, creatore dell’indimenticabile serie delle Città Oscure assieme a Benoît Peeters – a irrompere sulla scena, generando l’intreccio di una storia onirica e toccante: sono creature dai volti e dagli arti antropomorfi, i loro corpi epici grattacieli di vertiginosa e verticale teatralità. Dominano la città. Vitali e vividi si muovono pur rimanendo immobili, concentrati sulla visione di un orizzonte che vaticina futuro. 

Come gli alberi, poeti dell’aria con radici nella terra, conservano la memoria, nutrendosi di storia per mutarla e rilasciarla col proprio respiro: ossigeno per comuni mortali. È forse per questo che al loro fianco arride il cuore surrealista di verdi foglie del poeta delle immagini, il polacco Rafal Olbinski? La città persegue la vita mutando, grazie all’amore e alla memoria di sé. E nell’aria pervasa dai notturni di Chopin, la cui presenza ammalia la fantasia che lo scorge ancora passeggiare nel parco Kazimierzowski, quando fungeva da giardino privato per gli studenti del Liceo di Varsavia, c’è lo spazio per una sonata. 

Per Chopin, che ha voluto che il suo cuore fosse conservato a Varsavia, e per Plac Europejski, che la bella gioventù della città ha scelto come luogo d’elezione: un po’ rifugio, un po’ svago, un po’ arte. Poi la vita che corre intorno. E mentre tutto è in divenire, esistono dei punti fermi per rievocare la città di notte, vera e metaforica, e per immergersi con ogni fibra nella Varsavia perduta, quella che non esiste più. 

Il primo si trova a Praga, ex quartiere operaio, risparmiato dai bombardamenti, con un’anima irrisolta tra l’hipster e il nostalgico, cuore di una Varsavia che parla la lingua delle minoranze, dell’effervescente brio della creatività degli studio, degli artisti e della scena underground e ed è testimone, anche nei cortili di edifici dal fascino decadente, del gusto della vita: dalle edicole votive all’intrattenimento a opera di band di quartiere. 

Così è anche il Neon museum, l’unico nel suo genere in Europa, all’interno di un’ex fabbrica di motociclette, la Soho Factory. Scoprirete che le insegne al neon che hanno dato colore alle città del blocco orientale di notte, secondo un codice estetico inconfondibile, creato da un gruppo di artisti scelti a uso della propaganda, possiedono una bellezza accattivante. 

Il museo dei Neon a Varsavia (ph. Filip Kwiatkowski)

Le insegne di biblioteche, cinema, ristoranti, negozi, semafori, eccetera, illuminavano scenari urbani come stelle a ore. La notte ai tempi della guerra fredda non era poi così buia come ce la si potrebbe aspettare. Ma per viaggiare nel tempo secondo i più alti standard di velocità e del massimo coinvolgimento emotivo due punti fermi: Retro Varsavia, fiore all’occhiello dell’Art box experience, all’interno degli spazi della ex fabbrica di Norblin, bellezza che poggia su bellezza, per un tuffo multidisciplinare e sensoriale nella Varsavia tra le due guerre. Un capolavoro di ricerca storica, tecnica, genio creativo e dedizione che vi permetterà di passeggiare, sorridere, piangere nella città che non esiste più. 

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