Dopo più di un anno di attesa e aspre divisioni fra i suoi membri, la Commissione europea ha approvato il Piano nazionale di ripresa e resilienza della Polonia: 35,4 miliardi di euro in totale tra prestiti e finanziamenti a fondo perduto. Lo ha fatto pur mantenendo la richiesta di riforma del sistema giudiziario polacco, che continua a ritenere troppo legato al potere politico e non conforme al diritto comunitario.
Per molti, compresi alcuni commissari di peso, l’approvazione è in sostanza un cedimento al governo di Varsavia, che l’ha ottenuta più per coincidenze politiche favorevoli che per un reale impegno a garantire l’indipendenza della magistratura.
Niente soldi senza riforme
Il Pnrr polacco, composto da 23,9 miliardi di finanziamenti a fondo perduto e 11,5 di prestiti, consta di 49 riforme e 53 investimenti, per un totale di 283 «milestones and targets», gli obiettivi da raggiungere al fine di «sbloccare» i pagamenti.
Tre di questi riguardano il tema dello Stato di Diritto e dell’indipendenza della magistratura nel Paese. Entro la fine di giugno 2022, la Polonia dovrà aver riformato il sistema disciplinare a cui sono sottoposti i suoi giudici e iniziato processi di revisione per quei magistrati che sono stati giudicati dalla Camera Disciplinare della Corte Suprema, un organo sospeso dalla Corte di Giustizia dell’Unione, con una multa da un milione di euro per ogni giorno in cui sarebbe rimasta in funzione.
Senza questi risultati, non verrà erogato nemmeno un euro del Pnrr. Lo ha rimarcato anche la presidente della Commissione Ursula von der Leyen durante una conferenza stampa congiunta tenutasi a Varsavia all’indomani dell’approvazione formale, a cui ha partecipato insieme al Presidente della Repubblica polacco Andrzej Duda e al Primo ministro Mateusz Morawiecki. Un terzo milestone, fissato per la fine del 2023, prevede il completamento di tutti i processi di revisione.
Le richieste della Commissione puntano a rinforzare l’indipendenza della magistratura. La Camera Disciplinare della Corte Suprema, ha costituito infatti un forte vincolo al lavoro dei magistrati, come spiega a Linkiesta Arianna Angeli, docente di Diritto costituzionale comparato all’Università degli Studi di Milano ed esperta del caso polacco.
Questa sezione è stata introdotta con la maxi-riforma del sistema giudiziario voluta dal partito Diritto e Giustizia (PiS) nel 2017 e incaricata dei processi disciplinari nei confronti di tutti gli altri giudici polacchi. In totale, ha seguito 122 casi riguardanti magistrati, emettendo 25 decisioni di condanna, che hanno comportato la revoca definitiva dell’immunità per i togati colpiti.
Il nodo principale secondo la professoressa è che la Camera Disciplinare ha introdotto una «minaccia di punizione» per chi chiede un rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell’Ue: la procedura, cioè, che permette ai giudici di un Paese di rivolgersi alla Corte, per verificare l’applicazione del diritto europeo in un determinato caso che stanno esaminando.
Prospettando un provvedimento disciplinare, si scoraggiano di fatto i magistrati dall’intraprendere questa scelta e si danneggiano i meccanismi che tutelano lo Stato di Diritto nell’Unione.
La camera è formalmente ancora in vigore, ma dopo la sentenza della Corte di Giustizia europea non valuta più i procedimenti disciplinari e verrà presto eliminata. Una legge già approvata dal Sejm, la camera bassa del parlamento polacco, prevede di sostituirla con una nuova «Sezione della responsabilità professionale», più conforme ai dettami del diritto europeo.
I problemi rimangono
L’iniziativa legislativa che abolisce la Camera disciplinare è stata considerata sufficiente per sbloccare l’approvazione del Pnrr, fermo dal 3 maggio 2021 sul tavolo della Commissione per le preoccupazioni riguardanti lo Stato di Diritto nel Paese.
«Ma risolve soltanto la punta dell’iceberg, l’aspetto più eclatante nel sistema complessivo della giustizia polacca», afferma Arianna Angeli, per cui il problema principale è un altro organo, la Krajowa Rada Sądownictwa (Krs), cioè il Consiglio nazionale della magistratura.
«Il Krs regola tutta la carriera di un magistrato in Polonia, perché propone i giudici per la nomina e decide su assegnazioni, promozioni e trasferimenti». Alcuni dei suoi membri, spiega la docente, sono nominati direttamente dal Sejm, cosa che subordina l’architettura giudiziaria al potere politico. Ciò significa, tra l’altro, che solo un certo tipo di magistrati, ben visti dal partito di maggioranza, potrà scalare la gerarchia e far parte della Corte Suprema polacca, considerato l’ultimo bastione dell’indipendenza della magistratura nel Paese.
«Secondo la Corte di Giustizia europea, un sistema giudiziario indipendente è condizione imprescindibile per il rispetto dello Stato di Diritto in un Paese. La Polonia, anche eliminando la Camera Disciplinare, non ce l’ha», afferma Arianna Angeli. Difficile quindi accontentarsi di questa riforma per rendere accettabile l’intero quadro.
Dello stesso avviso è una parte consistente della Commissione, visto che, come riporta il quotidiano Politico, cinque membri di peso dell’esecutivo comunitario hanno contestato la scelta di concedere il via libera al Pnrr polacco.
Due vice-presidenti esecutivi, Frans Timmermans e Margrethe Vestager hanno votato contro l’approvazione, con il primo particolarmente critico. I milestones stilati a suo dire non risolvono i problemi riguardanti l’imparzialità e l’indipendenza della magistratura polacca, elementi che continuano a mettere a rischio l’ordine legale dell’Unione europea. Anche Timmermans è preoccupato per la condizione di sottomissione al potere politico del Consiglio nazionale della magistratura e dall’operato del Tribunale costituzionale polacco, che di recente ha dichiarato la propria Costituzione incompatibile con il Trattato su cui si fonda l’Unione.
Altri commissari hanno posto obiezioni in modo più soft, senza opporsi formalmente alla volontà della presidente ma esprimendo per iscritto le loro preoccupazioni. Non si tratta di membri qualunque: la titolare dei Valori e della trasparenza Vera Jourová, quella agli Affari interni Ylva Johansson e quello alla Giustizia Didier Reynders, secondo cui il Pnrr viene approvato in una situazione in cui la supremazia del diritto comunitario continua a essere compromessa in Polonia.
Su posizioni battagliere anche molti eurodeputati: il presidente della commissione parlamentare per le Libertà civili Juan Fernando López Aguilar ha richiesto un’interrogazione urgente alla presidente von der Leyen, che si terrà martedì 7 giugno nella plenaria dell’Eurocamera.
La questione, infatti, non è ancora chiusa: dopo l’approvazione della Commissione europea, a ogni Pnrr serve anche il via libera da parte degli altri Paesi. Il voto del Consiglio dell’Ue deve tenersi entro quattro settimane e perché il piano sia definitivamente avallato è necessaria la maggioranza qualificata: 15 paesi su 27 con almeno il 65% della popolazione totale dell’Unione.
La realpolitik della Commissione
Un’opinione diffusa in ambienti comunitari è che, nella lunga disputa con il governo polacco sullo Stato di Diritto, la Commissione abbia abbassato la guardia proprio ora per ragioni di convenienza politica.
La prima è la recente opposizione dell’esecutivo di Varsavia alla direttiva europea per una tassazione del 15% sulle multinazionali, uguale in tutti i Paesi. Per molti una sorta di ricatto su un obiettivo molto caro alla presidenza francese del Consiglio, che spera di concludere un accordo entro la fine del suo mandato, il 30 giugno. Secondo questa ipotesi, la Polonia avrebbe utilizzato il suo diritto di veto come leva negoziale per «velocizzare» l’approvazione del proprio Pnrr, agevolata dal fatto di essere l’unico Paese contrario e, quindi, padrona del destino dell’accordo.
Poi c’è la guerra in Ucraina, che vede Varsavia in prima linea per il supporto al governo di Kiev, sia in termini militari che nella prospettiva di adesione all’Ue, e nel sostegno a chi fugge dalla guerra. La presidente von der Leyen ha rimarcato la grande generosità dei cittadini e la disponibilità delle autorità polacche, che stanno facendo un «lavoro eccezionale» nell’accoglienza ai profughi: più di tre milioni e mezzo secondo le ultime stime.
Secondo Arianna Angeli, adesso la Commissione ha un interesse contingente e legittimo nel cercare punti di incontro con la Polonia, un grande Paese con un’economia sana, piuttosto che alzare i toni dello scontro. Il problema è che questo atteggiamento rischia di abbassare gli standard sullo Stato di Diritto nell’Unione, portandola di fatto a «funzionare con regole differenti per rispondere alle esigenze esterne».
Quando le esigenze sono molto impellenti, si mettono da parte le frizioni. Una dinamica che traspare in controluce anche dalla conferenza stampa congiunta. Se per Ursula von der Leyen la riforma della Camera Disciplinare attualmente in cantiere «non è la fine del percorso» per riabilitare lo Stato di Diritto in Polonia, secondo il Primo ministro Mateusz Morawiecki il problema semplicemente non si pone: è stata piuttosto la narrativa dell’opposizione politica interna a convincere le istituzioni di Bruxelles che in Polonia qualcosa non funzioni.
Ma ora le preoccupazioni sono altre e per Morawiecki «questo non è il luogo né il momento di discutere». La procedura di Articolo 7 attivata nel 2017 dalla Commissione contro la Polonia, le decine di procedure di infrazione e le tante sentenze della Corte di Giustizia dell’Ue sul tema sono per un momento accantonate. «Anche se ci sono delle divergenze tra noi – ha detto Morawiecki riferito alla presidente von der Leyen, che gli stava accanto – siamo d’accordo su un punto. L’Ucraina deve sopravvivere e la Russia non può vincere questa guerra».