Oggi Draghi, Macron e Scholz saranno in visita a Kiyv. È un’ottima notizia che spero scacci un’impressione, di cui vorrei parlare.
A Kiyv, oltre a toccare con mano le devastazioni, le stragi di civili e tutte le cose tremende su cui ha già scritto una nuova e promettente generazione di inviate e inviati (la cosa migliore capitata alla stampa italiana da un po’ di tempo), si respira la sensazione di non essere stati compresi davvero.
Il pregiudizio della guerra per procura lascia spazio alla realtà di problemi drammatici: uno scarso coordinamento degli aiuti militari e una freddezza politica dell’Europa occidentale in generale e dei socialdemocratici in particolare, con l’eccezione apprezzatissima dell’Italia. Questa è la cosa che fa più male e che fa vacillare le convinzioni più radicate.
Andiamo oltre l’evidenza che senza le forniture delle armi l’Ucraina sarà travolta. La speranza di Kiyv nel brevissimo termine è vedersi riconoscere lo status di paese candidato all’Ue. Questa prospettiva, più in generale l’ambizione di stare in Europa e la difesa dell’indipendenza, stanno costando all’Ucraina tra i 150 e i 200 morti al giorno: ragazzi che facevano una vita quasi normale, da civili, prima del 24 febbraio e che Putin si è dato la priorità assoluta di sterminare in questa seconda fase della guerra, preferendo più morti a più territorio.
È vero che la storia è più complessa, ma bisognerebbe spiegare perché senza limitarsi alle formulette della geopolitica (le stesse che facevano ritenere improbabile l’invasione). L’Ucraina tiene insieme persone che parlano ucraino, russo, tataro, ungherese, spesso bilingui, ha una forte presenza ebraica, tre chiese ortodosse, una cattolica e una storia tragica alle spalle. Nessun gruppo si sente più o meno ucraino dell’altro per ragioni di lingua o di fede: Zelensky, come noto, è ebreo e russofono. Ucraino non significa ucrainofono e russofono non significa filo-russo, con buona pace di Sergio Romano e di quelli che disegnano le cartine della pace su base linguistica: anche per questo il riconoscimento dell’Holodomor conta tanto nella costruzione dell’identità del paese.
Per un paese con queste caratteristiche l’Europa è l’unico approdo che consente di mantenere viva un’idea aperta e civile di patria e di mettersi al riparo dal progetto di Putin, che si concede due possibilità: la deucrainizzazione come obiettivo massimo o la partizione del paese su base linguistica che tanto piace ai realisti come ripiego (sta riprendendo piede la prima).
Questa è la complessità davvero trascurata dall’Europa e snobbata da tutti quelli che la invocano per sottintendere che anche l’Ucraina ha la coscienza sporca (senza mai citare un fatto). Questo è il problema che si aggiunge al riconoscimento dell’aggressore e dell’aggredito e alla difesa del diritto internazionale: che idea di stato e di convivenza tra i popoli vogliamo promuovere e difendere, se davvero l’Europa è il superamento delle tragedie del novecento, se insomma accettiamo l’imposizione di un’idea ottocentesca di stato-nazione fondato con la violenza o siamo lo spazio alternativo a quell’idea.
Questa domanda dovrebbe togliere il sonno a tutte le famiglie politiche europee, ma in particolare quelle che si contrappongono al sovranismo, socialisti in primis, perché la risposta sbagliata diventerebbe il bacino a cui ogni micro-rivendicazione può attingere in un continente già attraversato da tensioni di questa natura sin dentro i singoli stati, per non parlare di quelle potenziali tra ciascuno stato e tra est e ovest.
Non possiamo accettare un ordine internazionale basato sulla forza e sulla cancellazione e riscrittura delle identità nazionali. L’Europa unita è l’opposto. L’antipatia che la destra sovranista e filo-russa prova per l’Ucraina si spiega con il fatto che il Mosca è diventata la capitale del sovranismo antieuropeo, la freddezza della sinistra invece non ha senso. Le ragioni della socialdemocrazia stanno tutte dentro la causa dell’Ucraina europea e contro l’idea di legittimarne la divisione su base linguistica e con la forza o, peggio, la cancellazione invocata da Medveded.
Chi volta le spalle all’Ucraina le volta all’Europa.