Convocate le parti socialiOrlando spiega che su salari e lavoro l’accordo con i Cinque Stelle è possibile

Il ministro illustra il piano dell’esecutivo e commenta: «Se il governo apre una discussione su temi sociali così impegnativi come quelli dell’occupazione e invece si produce una rissosità crescente che non tiene conto di quel dialogo, allora si rischia un ulteriore cortocircuito»

Foto Mauro Scrobogna /LaPresse

Andrea Orlando, ministro del Lavoro e delle politiche sociali, capofila della sinistra Pd, da sempre attento al dialogo con i Cinque stelle, in un’intervista a La Stampa ammette che «oggettivamente il rischio di un incidente sulla strada del governo c’è» e proprio per questo, visto che «si è deciso di mettere le carte in tavola, giusto andare a vederle».

Perché ad esempio, dice, sul tema del lavoro povero, del salario minimo e della retribuzioni basse, «è pronta una proposta che tiene assieme i tre problemi», sulla quale le parti sociali saranno chiamate a pronunciarsi nei prossimi giorni.

«Per quanto siano comprensibili le esigenze di parte o persino l’occhio ai sondaggi, spero che nelle prossime settimane si tenga conto del vero interesse generale», dice. «Questo non significa affatto dover rinunciare al confronto e al conflitto politico anche duro, ma stiamo attenti a collegare questo confronto ai temi reali del Paese. Altrimenti si rischia non solo di mettere a repentaglio la stabilità, ma la credibilità stessa delle istituzioni. Voglio essere chiaro: si può correre il rischio di rompere su una grande questione sociale, ma farlo su questioni simboliche, questo allargherebbe ancora di più il solco tra eletti e opinione pubblica».

Per ora, fa notare Orlando, «l’accento è stato posto sui temi meno divisivi. E considero un fatto positivo che i Cinque stelle, come aveva fatto il Pd, abbiano posto all’attenzione politica un’agenda sociale. Non avremo forse sempre le stesse risposte, ma almeno ci facciamo le stesse domande».

Ora c’è un elemento in più: il riavvio del dialogo sociale, con la convocazione dei sindacati. «Se il governo apre una discussione su temi sociali così impegnativi come quelli dell’occupazione e del mercato del lavoro e invece si produce una rissosità crescente che non tiene conto di quel dialogo, allora si rischia un ulteriore cortocircuito…», commenta Orlando.

Sul concreto, insomma, è possibile un accordo su temi delicati. «Senza inneggiare alla stabilità fine a se stessa, ma ora che si sono scoperte le carte, andiamo a vederle!», dice Orlando. «Perché se si strappa il quadro, prima ancora che si scoprano le carte, il rischio è quello di un cortocircuito. Per capirsi: se non si riesce più a governare, non è un obbligo andare sino in fondo e si può anche votare. Ma bisognerebbe farlo dopo aver preso atto dell’impossibilità di dare risposte sui problemi del Paese».

Secondo il ministro, «esistono tre problemi importanti e diversi: il livello dei salari; il lavoro povero; il rinnovo dei contratti. Sono tre problemi che vanno tenuti assieme. I salari si sostengono con la riduzione del cuneo fiscale, una misura che risolve il problema in parte, perché ora c’è anche un problema di adeguamento, evitando cioè che la riduzione fiscale sia rapidamente “mangiata” dall’inflazione. Ma la riduzione del cuneo non risolve la questione del lavoro povero, perché se uno guadagna 650 euro al mese, anche se gli tagli il cuneo, non se ne accorge quasi. E comunque il lavoro povero è generato da cattivi contratti».

E «chi dice di voler risolvere uno solo dei tre problemi, in realtà non vuole farsi carico di un problema salariale che è diventato esplosivo dopo la ripresa dell’inflazione. In attesa che dentro la maggioranza e tra le parti sociali si risolva il nodo salario minimo sì o no, ho fatto questa proposta: facciamo derivare il salario minimo, comparto per comparto, dai contratti comparativamente maggiormente rappresentativi e nella fattispecie del trattamento economico complessivo, cioè il salario più le quote accessorie, come ferie, festività. Questa soluzione ha un vantaggio: de-ideologizza il confronto, perché non è salario minimo contro contratto, ma fa derivare il salario minimo proprio dal contratto. E in questo modo si tiene assieme tutto il fronte sindacale e diventa difficile non riconoscere che si tratta di una soluzione che valorizza al meglio la contrattazione».

Questo è «un compromesso che può partire dalla definizione giurisprudenziale dei contratti “comparativamente maggiormente rappresentativi”. E in alcuni settori produttivi, forse, questo non basterà ancora ad avere buoni salari. Non è la panacea, ma in tanti settori metteremmo fuori gioco i cosiddetti contratti pirata e nell’immediato centinaia di migliaia di lavoratori potrebbero uscire da una condizione di lavoro povero. Sarebbe un segnale molto forte».

E c’è qualche segnale positivo: «Abbiamo avuto un’apertura da parte del mondo sindacale e di una parte della destra, almeno sul metodo. Alcune parti datoriali hanno fatto sapere di una disponibilità. Potremmo giungere ad una tregua che non pregiudichi una soluzione futura più strutturata. Altrimenti si arriverà al redde rationem: salario minimo legale sì o no? Ma credo che l’attesa si spieghi anche perché tutte le parti vogliono capire cosa si farà sul cuneo fiscale. Che non deve diventare l’alibi per rinviare ulteriormente i rinnovi contrattuali. Ognuno deve fare la sua parte».