«Non sono io che lascio, ma è Forza Italia, o meglio quel che ne è rimasto, che ha lasciato se stessa e ha rinnegato la sua storia. Non votando la fiducia a Mario Draghi, il mio partito ha deviato dai valori fondanti della sua cultura. Mi accorgo di aver scritto “mio partito”. Non riesco a credere che abbia subito una simile mutazione genetica». Dopo Mariastella Gelmini, anche il ministro della Pubblica amministrazione Renato Brunetta ha lasciato Forza Italia. E con lui anche Mara Carfagna.
E se Silvio Berlusconi su Repubblica e La Stampa nega ogni responsabilità nella crisi, sostenendo che sia stato Draghi a voler mettere fine alla sua esperienza di governo e augurando ai ministri «irriconoscenti» che hanno dato l’addio al partito di «riposare in pace», Brunetta sulla Stampa spiega le ragioni della sua uscita. Berlusconi, dice, «ha perso lucidità e umanità», sprecando «una grande occasione, quella di lasciare una nobile eredità all’Italia»
Perché, spiega Brunetta, «non è stato solo il M5S, ma anche Forza Italia, assieme alla Lega di Salvini, a sabotare un liberale come Draghi, attraverso giochi di potere egoistici e pericolosi sulla pelle della gente, degli italiani, degli europei», dice. «Inspiegabile, davvero inspiegabile, aver contribuito a fermare nel nostro Paese il progetto europeista ispirato al binomio inscindibile libertà-responsabilità, il collante della grande famiglia del Ppe».
Brunetta chiama «irresponsabili» coloro che non hanno votato la fiducia al presidente del Consiglio, «anteponendo l’interesse di parte all’interesse del Paese. I vertici sempre più ristretti di Forza Italia si sono appiattiti sul peggior populismo sovranista, sacrificando un campione come Draghi, orgoglio italiano nel mondo, sull’altare del più miope opportunismo elettorale. Miope perché ignora o finge di ignorare che, per il centrodestra e per l’Italia, non c’è alcun futuro nelle tentazioni tardoprovinciali del sovranismo, che vagheggia un’infantile egemonia nazionale, del conservatorismo corporativo, che consegna la democrazia al ricatto dei microinteressi, del tatticismo populista, che piega al consenso le decisioni e gonfia la spesa pubblica, del settarismo culturale, che esibisce un’implausibile e inattuale identità politica».
Il ministro spiega che la decisione è stata presa «senza alcuna dialettica interna, in spregio alle regole statutarie», consegnando «a questa deriva quel che rimane del partito».
«Io non cambio, è Forza Italia che è cambiata. Ho la tessera numero 2 del partito ricostituito nel 2013 e dal 1999, come eletto di Forza Italia, sono al servizio delle istituzioni, italiane ed europee. Ho sperato fino all’ultimo in un sussulto di responsabilità, che non è arrivato. Mi batterò ora perché la cultura e i valori di Forza Italia non vadano perduti. Perché, mai come adesso, le sue migliori energie liberali e moderate trovino il coraggio e la comune volontà di rivendicare una linea politica consonante con i suoi principi, la sua storia e la sua visione del futuro», dice.
«Si apre per l’Italia una fase drammatica, non priva di significativi riflessi internazionali. La caduta del governo Draghi rischia di apparire ai tanti occhi, che dall’esterno ci osservano, come la prova che il nostro sistema politico non ha gli anticorpi per emanciparsi dal populismo e dall’estremismo. Questa percezione rischia di esporci a una tempesta finanziaria e geopolitica, anche indebolendo l’alleanza occidentale a sostegno dell’Ucraina. Una tempesta di fronte alla quale toccheremo con mano che cosa vuol dire non avere lo scudo di una leadership prestigiosa e autorevole come quella di Mario Draghi. Traghettare la constituency, i valori, la storia e le relazioni internazionali di Forza Italia è ora un dovere per tutti i liberali, popolari e riformisti che hanno a cuore gli impegni al centro dell’agenda Draghi, impegni che qualcuno ha deliberatamente scelto di calpestare. Questi ideali, e le donne e gli uomini che in essi si identificano, possono confluire in un’unione repubblicana, saldamente ancorata all’euroatlantismo. Che forma prenderà questa unione repubblicana non so. So solo che dovrà essere la più ampia possibile».