«La nostra comunità sta con un piede fuori dal governo», dice Giuseppe Conte in un colloquio con Il Fatto Quotidiano il giorno dopo il faccia a faccia con il presidente del Consiglio Mario Draghi. L’ennesimo penultimatum, la crisi è rinviata.
E il leader dei Cinque Stelle ora chiede risposte sui nove punti esposti nel documento presentato a Draghi, dal Superbonus al reddito di cittadinanza, dal decreto dignità al salario minimo. «Servono ragioni per restare dentro l’esecutivo», dice al Fatto. «Vogliamo risposte vere e risolutive entro luglio».
La maggioranza per ora va avanti. Per quanto tempo ancora non si sa. Gran parte dei parlamentari la pensa diversamente. E sul decreto aiuti la linea è frutto di un delicato equilibrismo da Azzeccagarbugli: oggi il Movimento voterà la fiducia alla Camera ma si asterrà sul provvedimento che contiene anche la norma sull’inceneritore di Roma. «Sarà un fatto di chiarezza politica, di coerenza», dice l’ex premier.
In Senato però non si potrà usare lo stesso espediente, visto che è previsto un unico voto. A Palazzo Madama i gruppi parlamentari vorrebbero lasciare il governo. Ma c’è anche una parte di Cinque Stelle governisti pronti a lasciarlo e a passare con Luigi Di Maio nel caso di uno strappo.
«Noi del Movimento Cinque Stelle siamo in sofferenza perché si sono accumulate una serie di difficoltà», spiega Conte. «C’è un tema di dialettica politica, sono sparite le cabine di regia, i testi da approvare arrivano all’ultimo momento prima del consiglio dei ministri, spesso convocato solo con poche ore di anticipo. Se ne è lamentato il nostro capo delegazione Stefano Patuanelli, e anche quello del Pd, Andrea Orlando». Insomma, «c’è un problema di metodo e di merito».
Conte dice di averlo detto a Draghi e messo nero su bianco nel documento delle nove proposte. «Noi non siamo pagliacci, rispetto a un grande disagio dobbiamo conoscere le ragioni per andare avanti con l’esecutivo», ripete. «Servono risposte, e di certo non aspetteremo mesi».
Certo, dice, per la prova in Senato «manca ancora tempo, siamo una comunità e rifletteremo». E al ministro Pd Dario Franceschini che ha detto che se i grillini escono dal governo non ci sarà più l’alleanza giallorosa, risponde: «Noi non subiamo diktat che lasciano il tempo che trovano, il Movimento andrà in alleanza solo se ci sarà piena condivisione sui programmi e coesione, piena collaborazione. Sono le nostre condizioni». Non solo: «Io dico no al mucchio selvaggio solo per sconfiggere le destre, un obiettivo che a noi sta a cuore, sia chiaro».
In ogni caso, ricorda, che «senza il Movimento i numeri ci sarebbero per il governo, a quel punto starebbe a Draghi decidere cosa fare». Sembra un riferimento all’appoggio esterno. Ma c’è tempo, si vedrà. La data segnata sul calendario è il 16 luglio, la scadenza per la conversione del decreto aiuti.