Irresistibile mantouBao, la rivoluzione del panino

Dalle bancarelle di Taiwan ai ristoranti di New York passando per Milano, i piccoli bocconi di pane ripieni stanno conquistando il mondo

Si chiamano bao e sono la declinazione taiwanese dei cinesi baozi (包子): piccoli panini di pasta di pane cotta al vapore, chiusa a formare un guscio morbido ripieno di carne e/o verdure. Tipici del Nord della Cina, si sono diffusi anche in Giappone, Corea, Vietnam, Taiwan, per poi arrivare anche in Occidente, assumendo una forma leggermente più grande e declinandosi in varianti gourmet grazie a farciture diverse da quella tradizionale, che strizzano l’occhio ai sapori locali.

Tra storia e leggenda
In cinese antico bao significa “testa di barbaro” perché, secondo la leggenda, l’inventore di questi panini fu Zhuge Liang (primo ministro e stratega militare della dinastia Shu) che vide in essi non solo un cibo energetico, rapido e comodo per nutrire le truppe, ma anche un espediente per ingannare la superstizione dei monaci ed evitare il sacrificio di 49 uomini, sostituendolo con il “sacrificio” di altrettanti bao a forma di testa, gettati nell’acqua di un fiume da attraversare per propiziarsi un guado sicuro.

Un’altra storia vuole invece che siano stati inventati nel Sichuan, per poter dare le erbe medicinali all’imperatore, particolarmente goloso di questi bocconcini soffici e semidolci.

Gemelli diversi del brunch all’orientale
Bao, baozi e ravioli ripieni appartengono tutti alla dimensione del dim sum (letteralmente “piccoli tocchi al cuore”), un tipo di cucina leggera ideata dai cantonesi nella Cina meridionale, di solito collegata con l’antica tradizione dello yum cha (“bere il tè”). Per intendersi: una sorta di versione cinese del brunch a base di piccole porzioni di cibi farciti con ripieni vari, bocconcini fritti o cotti al vapore, serviti in versione finger e accompagnati dalla bevanda calda più diffusa d’Oriente.

Un successo di dolcezza e consistenza
Ciò che rende i bao davvero speciali per i palati occidentali è la consistenza soffice del pane (mantou), dovuta alla cottura al vapore, che permette al lievito di lavorare lentamente e con delicatezza, conferendo al panino una consistenza unica.

In più, l’aggiunta di zucchero all’impasto restituisce a questi panini una nota delicatamente agrodolce grazie al piacevole contrasto con i ripieni salati, ma si presta anche a una declinazione come dolce da colazione o come dessert da fine pasto (volendo restare in oriente, con un ripieno doushabao, pasta di fagioli azuki, o naihuangbao, una sorta di crema pasticcera).

Leoni, tigri e porcellini… Chi morde chi?
In Occidente i bao hanno avuto successo innanzitutto nella loro versione carnivora: dai rou jia bao (“carne nel panino”) o hu yao shi (“la tigre che morde il leone”), tipici della città cinese di Quanzhou, dove sono il piatto principe per celebrare il fidanzamento delle figlie femmine, ai hu yao zhu (“la tigre che morde il maiale”), l’equivalente taiwanese consumato per celebrare la fine dell’anno lunare e propiziare la buona sorte per l’anno nuovo.

Vengono mangiati a scopo benaugurante, non solo in virtù della ricchezza del ripieno tipico (a base di pancetta di maiale) ma anche per la somiglianza con un piccolo scrigno traboccante.

Da Taiwan a New York
Il merito di aver esportato i bao in Occidente si deve a David Chang, chef di origine coreana, che nel 2004 li rese il piatto iconico del suo ristorante Momofuku a New York, servendoli in una versione ispirata a quella “festiva” e taiwanese, a base di petto di maiale arrosto, cetrioli e cipollotto: un richiamo (con licenza) a quella tipica che prevedeva pancetta di maiale stufata o brasata, verdure sottaceto o fermentate (con un procedimento simile al kimchi coreano), granella di arachidi e qualche foglia di coriandolo o di senape sottaceto.

Seguendo il suo esempio, sempre più ristoratori più o meno raffinati hanno adottato questa sorta di amuse-bouche, tanto che ormai da Parigi a Londra, da Lisbona a Madrid e Milano non mancano bao moderni con ripieni alternativi, serviti come street food o aperitivo, accompagnati con birre artigianali o cocktail abbinati ad hoc.

Dove mangiarli (buoni)
Per trovare i migliori bao in circolazione, chi ha la fortuna di fare un salto nel Sol Levante, può affidarsi alla Guida Michelin e puntare sui ristoranti e chioschi segnalati tra Taipei e Taichung, come Yi Jia Zi, Lan Chia Guabao, Yuan Fang Guabao, Shin Yeh Taiwanese Cuisine e Peng Cheng Tang dove i piatti diventano interattivi grazie agli ingredienti serviti al tavolo separatamente, affinché il cliente possa comporre il proprio piatto, creando autonomamente il giusto contrasto tra salato e agrodolce, croccante e morbido.

In alternativa nel resto del mondo si può puntare sulle declinazioni più o meno fusion, come le varianti con pulled pork (spalla di maiale affumicato al barbecue, con cipolla rossa e melograno e salsa BBQ) o pollo fritto taiwanese, in versione burger (con bacon, cheddar, nachos sbriciolati e altri ingredienti a scelta) o in declinazione vegana (con tofu, kimchi e sriracha, ovvero soia fermentata, cavolo fermentato e una salsa piccante diffusa in tutta l’Asia).

Epicentro Milano
La mania dei bao non poteva non conquistare anche l’Italia, a partire da Milano, la neocapitale del gusto, che ne apprezza la rapidità di esecuzione e soprattutto l’eleganza che distingue questi bocconcini da molti altri street food: piccolo, morbido, lucido e bianchissimo tanto da sembrare un oggetto di porcellana. Nel capoluogo meneghino fa concorrenza al trend dei poke e, al pari delle bowl trova spazio tanto nei furgoncini ambulanti quanto nei locali più chic.

Per vivere un’esperienza vicina a quella tradizionale l’ideale sono i bao serviti direttamente al bancone da Ravioleria Sarpi (ripieni di spalla e pancetta di maiale, zenzero fresco e cipollotto), da Delicious BaoBing (con maiale, con tofu e verza cinese, o con spaghetti di soia) o da Bao House (con anatra, pancetta brasata, pollo fritto o funghi in salsa teriyaki), oppure quelli consumati al tavolo ma in un contesto che conserva il fascino orientale, come quello di Tang Gourmet o di Maoji, dove basta varcare la soglia per ritrovarsi in un vicolo di una città cinese nella seconda metà del Novecento.

Commistioni spazio-temporali
Per una versione più occidentale e contemporanea ci sono invece i bao di Dim Sum, quelli “mini” di Bob pensati apposta per un aperitivo-degustazione e quelli di Ba Asian Mood proposti in almeno due versioni: con coppa di maiale caramellata (Char Siu Bao), o farciti con una polpetta di maiale (Xiao Long Bao) con aggiunta opzionale di foie gras. Da Mu Dim Sum, invece ci sono i Black Char Siu Bao preparati con pane nero di carbone vegetale e quelli in versione dolce con crema all’uovo d’anatra.

Per una versione che strizza l’occhio alla tradizione gastronomica italiana ci sono i bao di Mini Maoji Navigli con il baccalà mantecato o trippa, in alternativa ai classici con pancetta di maiale sfilacciata e salsa piccante, manzo sfilacciato con tofu e anacardi.

Ma da poco sono disponibili anche le nuove proposte di GūD Milano, come l’Italian Bao con caponata di melanzane, stracciatella e basilico, il Bubba Bao con gamberi, maionese, erba cipollina e zest di lime e il Zen Bao, che recupera la tipica farcitura con pancetta di maiale, declinandola però in versione cotta a bassa temperatura e leggermente affumicata, con riduzione di miele, soia e sake, taccole e daikon.

Ciascuno è abbinato a un cocktail studiato ad hoc, come il Collin’s alla Pesca, con Martini Bitter Riserva, succo di pompelmo, liquore alla pesca e topping di RedBull Organics Black Orange; il Fiero GūD, long drink fresco e aromatico a base di gin, Martini Fiero, zenzero e cetriolo fresco, un Daiquiri al Cocco con cachaça, rum al cocco e polpa di frutto della passione; un Tommy’s Margarita alla Banana, con tequila, mezcal, liquore alla banana.

Tutto il mondo in uno scrigno di pane morbido
In chiave tradizionale o rivisitata, in stile orientale o reinterpretati all’europea, in versione street food o da ristorante gourmet, i bao sono una delle preparazioni democratiche per eccellenza: capaci di adattarsi a tutti i gusti, a tutte le tasche e alle situazioni di convivialità più diverse. Insomma, un modo semplice e piacevole per provare sapori nuovi senza rinunciare a una forma nota, rassicurante e internazionale come quella del panino (o del raviolo). L’obiettivo? Far incontrare Oriente e Occidente, in un morbido scrigno di pasta bianca e soprattutto riunire le persone attorno a qualcosa di semplice ma confezionato con cura, fargli riscoprire il piacere della “scoperta” e del gioco. Che come sempre, quando si tratta di cibo, è una cosa seria!

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