Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, al momento, ha evitato di esercitare la sua pressione nella crisi di governo che si prospetta. Dal Quirinale mantengono un riserbo assoluto. E l’ultimo colloquio con il presidente del Consiglio Mario Draghi, da quel che si sa, risale a tre giorni fa.
Draghi non cadrà oggi per un voto d’aula. Il Senato gli darà la fiducia, seppur senza i voti dei Cinque Stelle. Poi il premier, stando a quanto ha fatto capire, salirà al Quirinale per prendere atto che la sua maggioranza non esiste più – spiega Repubblica. Ma ancora per Mattarella questo non sarà sufficiente a chiamare il Paese alle urne anticipate.
Come spiegano dal Colle in queste ore, si tratterebbe infatti di una crisi extraparlamentare e dunque rimessa alla volontà del presidente del Consiglio. Sarà Draghi a decidere. Alla fine del Conte 2 Mattarella vedeva tutta la difficoltà del premier a raccattare qualche voto di “responsabili” per andare avanti, eppure non impedì all’allora premier di provarci. E intervenne solo quando Conte decise di gettare la spugna.
Mattarella ascolterà quello che Draghi andrà a riferirgli e soltanto dopo metterà in moto il motore costituzionale. Anche la possibile eventualità di tornare davanti al Parlamento e chiedere un nuovo voto di fiducia sarà una scelta che dovrà essere Draghi a prendere, senza spinte presidenziali.
Ci sarebbe, si dice, una diversità di posizioni tra Quirinale e Palazzo Chigi. Il Capo dello Stato, per Costituzione, ha come obiettivo la stabilità e non può non essere preoccupato per l’eventualità di una crisi con la guerra in Europa e in piena emergenza economica. Per Draghi si tratta invece di prendere atto di una situazione diventata insostenibile. «Se andasse avanti facendo finta di niente — spiegano — dal giorno dopo sarebbe il Vietnam, ognuno sarebbe legittimato a votare solo quello che gli aggrada: il governo sarebbe paralizzato, restare non avrebbe senso».
«Per me non c’è governo senza il Movimento 5 Stelle e non c’è un governo Draghi altro che l’attuale», ha ripetuto Draghi nell’ultima conferenza stampa. Un modo per tagliare corto sulla sua disponibilità a imbarcarsi in una catena infinita di negoziati, tra diktat e ultimatum.
Si può solo dare per possibile che, nell’ipotesi di un Draghi azzoppato dalla prova della fiducia a Palazzo Madama, Mattarella lo rinvii alle Camere. Ma non come prova d’appello della coalizione per ricucire in extremis, spiega il Corriere, quanto per costringere i partiti ad assumersi solennemente le proprie responsabilità davanti al Paese. Esprimendo pubblicamente le rispettive posizioni, senza i mascheramenti tattici e i rilanci continui cui abbiamo assistito.
Poi, nel caso, Mattarella avvierà le consultazioni con le forze politiche e, numeri alla mano, prenderà una decisione. Sulla quale grava un punto interrogativo: ci sarà ancora Mario Draghi?