Quarantaquattro prodotti Dop e Igp e quasi quattrocento prodotti agroalimentari tradizionali (Pat). L’Emilia Romagna è così: ricca, appassionata e golosa. Ecco perché non ci si stupisce se a dividere le provincie regionali non siano le solite questioni calcistiche ma le parole usate nell’ambito del cibo e della convivialità quotidiana.
Non è raro, infatti, che termini diversissimi indichino la stessa prelibatezza o che lo stesso termine venga utilizzato, a seconda dei luoghi, per indicare prodotti diversi. È il caso del dissidio culinario e linguistico che affonda le radici nella storia di una specialità rustica modenese, le Crescenti, o Crescentine, chiamate nel bolognese Tigelle.
Ma andiamo per ordine per capire da dove nasce questa confusione e partiamo da una premessa fondamentale. Le Crescenti sono storicamente un cibo povero, consumato dalla classe contadina degli anni ’30, preparato dalle donne per gli uomini che trascorrevano la giornata a lavorare nei campi con pochi e semplici ingredienti – acqua, sale e farina – e cotto con il metodo tradizionale delle tigelle.
Oggi, la cottura, più semplice e veloce, prevede per lo più l’uso delle tigelliere e la ricetta è stata arricchita: il comune di Modena ne prevede una con acqua, sale, farina ma anche olio, latte e lievito secco o di birra.
Chiarito questo torniamo all’origine di questa specialità e al metodo tradizionale di cottura. All’impasto, preparato con i tre ingredienti, viene data una forma cilindrica da cui si ricavano dei piccoli dischi che vengono stesi con le mani e resi così pronti alla cottura nel camino.
È qui che entra in campo l’importanza delle parole.
L’etimologia della parola “tigella” deriva dal verbo latino “tegere”, letteralmente “coprire”, nel modenese, infatti, i dischi di pasta sono tradizionalmente impilati e cotti tra dischi arroventati, chiamati appunto tigelle, composti da argilla – “terra di castagno” perché prelevata nei castagneti – e calcite, un minerale di carbonato di calcio.
Gli stampi possono essere alternati a foglie di castagno, che aromatizzano e proteggono l’impasto, altrimenti lasciati a contatto con la pasta per imprimere un fregio, un basso rilievo sul prodotto finito. Il più diffuso è il fiore della vite, simbolo di fecondità e prosperità. Le tigelle coprono l’impasto, cuocendo le Crescenti al punto giusto.
L’ultimo passaggio consiste nel mettere le Crescenti sotto la cenere del camino, lo shock termico le fa leggermente gonfiare in modo che siano perfette per essere farcite. La tradizione prevede una farcitura di lardo e Parmigiano Reggiano, oppure il loro consumo come accompagnamento agli umidi quali lo spezzatino e il pollo alla cacciatora.
Se la tigella è lo strumento per cuocere le Crescenti quello che si verifica nel vocabolario bolognese, e non solo, dove le Crescenti, o Crescentine, vengono chiamate Tigelle è una metonimia. Per non creare altri ulteriori fraintendimenti a Bologna, con Crescentina, si indica un rombo, rettangolo o disco di pasta fritta che a Modena prende il nome di Gnocco fritto, farcito con salumi e formaggi.
C’è chi di questo slittamento semantico ne ha fatto un mantra, dando vita a un vero proprio movimento: Don’t Call Me Tigella.
Luca ed Eugenio, fratelli bolognesi con una forte influenza dell’Appennino modenese da parte materna, vivono il fraintendimento tra Tigella e Crescentina da sempre. Nel 2017 hanno dato vita al movimento e a una pagina Instagram per dare voce alla distinzione tra questi due termini.
Don’t Call Me Tigella vuole essere un racconto, un contenitore di storia, di persone, di sapere e di convivialità, un mezzo per diffondere la conoscenza di un piatto tipico molto amato per fare in modo che venga chiamato nel modo corretto, o quantomeno, venga riconosciuta la differenza tra le tigelle e ciò che viene cotto nelle tigelle.
Per fare questo, Don’t Call Me Tigella organizza dei raduni a numero chiuso – siamo già al terzo -presso l’hotel di famiglia di Eugenio e Luca a Sestola, in provincia di Modena, con l’obbiettivo di far rivivere, grazie a una delle rare signore che ancora oggi porta avanti la cottura tradizionale delle Crescenti, la quotidianità agricola dell’Appennino dell’inizio del secolo scorso.
Don’t Call Me Tigella è un piccolo movimento in evoluzione, che sogna collaborazioni e un numero sempre più alto di incontri, che sta avendo un grande successo locale perché richiama il ruolo sociale e conviviale delle Crescenti e perché queste, negli ultimi anni, sono state in un qualche modo riscoperte dalla ristorazione collettiva, scoperte a livello nazionale e non solo, ma soprattutto sono sempre state chiamate, erroneamente, Tigelle.
Il movimento di Luca ed Eugenio si fa portavoce dell’importanza della conoscenza gastronomica a partire dalle preparazioni popolari e il suo successo testimonia, ancora una volta, il desiderio di un ritorno alle origini, alla semplicità, all’autenticità delle cose.