I due volti dell’EuropeoIl gap di investimenti tra le Azzurre e le altre nazionali di calcio è (ancora) una voragine

Solo da poco le calciatrici italiane sono state riconosciute come professioniste, mentre paesi come Islanda, Stati Uniti, Svezia e Germania da anni sostengono economicamente le federazioni per curare i vivai e far crescere il movimento

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L’Europeo di calcio femminile mostra due volti. Siamo alla fine della fase a gironi, si sono già qualificate le potenze, Inghilterra, Germania, Francia, Svezia e Olanda. L’Italia, dopo la sonora batosta contro le francesi, ha un filo di speranza, battendo il Belgio, di passare ai quarti. Ma è sostanziale divario tra le nazioni che praticano il calcio in modo professionistico e con ampio dispendio di fondi, creando una storia calcistica alle spalle e chi no. 

Ci sono federazioni che hanno curato i vivai, dato grande spazio al calcio femminile e prodotto campionesse confermando, se ce ne fosse la necessità, che il lavoro, l’impegno, gli investimenti in un settore che è in piena espansione pagano moltissimo. 

Le giocatrici italiane sono diventate professioniste solo qualche giorno fa, incredibile a dirsi, vincendo un’arcaicità mentale che disprezzava le donne che giocano a pallone e non riconosceva non solo parità ma addirittura l’esistenza di quella spinta gioiosa e appassionata che attrae le ragazze verso il gioco più bello del mondo. 

Negli stadi ormai la presenza di pubblico femminile è in aumento esponenziale, all’interno del tifo bello e non delle bande violente di ultrà.

Nelle Nazionali ovviamente vanno le giocatrici più forti, e qui ci sono in ballo i club europei, Lione, Barcellona, Bayern. Molte grandi squadre hanno una rappresentanza femminile per ogni campionato e, guarda caso, il campionato italiano è pieno di straniere che brillano e fanno la differenza in serie A. 

Chi mette a disposizione risorse economiche le compra. Vengono da dovunque, il mercato al femminile è un tourbillion, con continui cambi di casacche, nella Juventus giocherà l’anno prossimo Gunnasdottir, che dal suffisso (tutte le donne in Islanda hanno il cognome che finisce in dottir, figlia di, in questo caso Gunnar) viene dall’isola dei sogni, dove la parità tra uomo e donna ha la percentuale più alta del mondo.

In fondo lo stesso problema lamentato da tutti gli addetti della mancanza di crescita dei giovani italiani è la stessa delle giovani italiane. Senza una organizzazione che investa nei propri talenti, non matura nessuno, a nessuno è data la chance del grande salto. 

L’Italia ha più o meno le stesse calciatrici del glorioso mondiale del 2019 in Francia che ci ha visto sorprendentemente protagoniste con ottime prestazioni e che ha fatto esplodere in modo inaspettato e clamoroso l’interesse per un mondo fino ad allora ai margini. 

È stato un formidabile e spettacolare traino per cui la ct Milena Bartolini e le nostre ragazze dovrebbero essere ringraziate a vita. Sono ancora oggi le più brave in Italia, ma certamente devono nascere e trovare spazio altri talenti, sorrette da soldi, strutture, campi di allenamento, incentivi e visibilità. 

Per decenni le calciatrici hanno dovuto prendere i resti del calcio maschile minore, campi di terra, divise dismesse dagli uomini, scarpini comprati in proprio, poca assistenza medica, allenamenti che un tempo si facevano la sera dopo il lavoro normale, quando non c’era più alcun maschio a usarli.

Pensando agli albori, io stessa ne facevo parte, la cortina di scarto calcistico si traduceva in una preparazione fisica e tecnica approssimativa a fronte invece di sacrifici incredibili per poter esprimere una passione esente da qualsiasi vantaggio economico, e stracolma di diffidenza e prese in giro. Solo le donne potevano riuscire con la perseveranza che le contraddistingue a farsi largo, a non mollare.

La Nazionale è lì per tutte quelle che senza riconoscimenti hanno lottato prima di loro contro pregiudizi assurdi. Ma oggi siamo in un’altra epoca, e non è un caso che le più forti al mondo, aggiungendoci Stati Uniti, per i diritti paritari (sempre in bilico, come abbiamo visto recentemente con la sentenza della Corte Suprema sull’aborto) e il Brasile, per cuore calcistico, siano i paesi dove l’uguaglianza in ogni ambito è più perseguita. 

Ora tiferemo con tutto il cuore per eliminare il Belgio e passare ai quarti, ma credo si possano avere poche speranze di andare oltre. Perché le altre nazioni, la leziosa, tecnicissima e bellissima Francia gioca talmente bene, e la Germania è così potente e solida, l’Inghilterra è una macchina da gol e Svezia e Olanda sono tostissime. La Spagna invece priva della sua campionessa Alexia Putellas è come spuntata e se la vedrà con la Danimarca, altra scandinava. Lo spettacolo però è assicurato, si sono viste giocate di livello superiore, dribbling, triangolazioni, ripartenze magnifiche, schemi perfetti, soprattutto di stampo transalpino e da giocatrici di colore. 

Un discorso a parte meritano le arbitre di questo europeo, precise e autorevoli, pronte alla decisione, pronte a tornarci su se la Var mostra il contrario, senza un fronzolo, poche parole definitive. Coadiuvate in questo dalle giocatrici, che non si sperticano in cori infiniti di protesta, accettano le decisioni e hanno in generale un comportamento rispettoso verso espulsioni, ammonizioni, fuorigioco, rigori. 

Quando mai si vede in serie A l’arbitro che può parlare con la sala Var in santa pace, senza essere accerchiato come Fort Apache, che a ogni fallo fischiato viene contestato come all’uscita dai cancelli dagli operai della Fiat negli anni ’70, o viene aggredito con fare minaccioso come da una squadraccia fascista? 

Questo fairplay, questo rispetto, pur nell’importanza enorme del torneo, è uno degli aspetti migliori a cui lo spettatore può assistere. E se lo fa dalla tv, sia le bravissime e indimenticabili ex giocatrici Betty Bavagnoli e Carolina Morace, pietre miliari del calcio femminile e commentatrici inappuntabili, sia le giornaliste che fanno la telecronaca, Sky in particolar modo, sono altrettanto inappuntabili, competenti e preparatissime al pari, se non di più, dei colleghi maschi. 

Dunque vi esorto a continuare a seguire gli Europei femminili, ne vale la pena anche al di là del tifo, anche se l’Italia non dovesse farcela, perché abbiamo davanti uno spettacolo calcistico e umano con i fiocchi.

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