Non scrivo da un mese, eppure era terapeutico. Su ogni testo staccavo un pezzo di carne che bruciava e sanguinava. Non parlo delle traduzioni, perché quello è assumere la voce di altri e ho dovuto filtrare una ventina di voci tra fine giugno e inizio luglio. Ognuna ha lasciato in me qualche granello, come in quel film “Cold souls”, dove ci sono trafficanti di anime e dove l’attore Paul Giamatti si libera temporaneamente della sua per ingoiare l’anima di un altro, solo perché voleva riuscire a fare un buon lavoro sul palco interpretando nel dramma di Chekhov “Zio Vanja”.
Non scrivo più, eppure consideravo il silenzio una risposta e stare fermi un’azione. Però non scrivere ora mi sembrerebbe come mettere il soliloquio in pausa.
Le notizie dal fronte ucraino arrivano ogni ora, lì non c’è stata una pausa, anzi l’ambasciata americana ha chiesto ai cittadini americani di lasciare di nuovo l’Ucraina come lo aveva chiesto prima del 24 febbario. Parlano di una rotazione, di cambio della strategia, segnano anche il tempo di due settimane. Abbiamo imparato a non fidarci degli strateghi militari, che si sono resi inutili mettendo il marchio di «secondo più potente esercito nel mondo» a quello russo, ma abbiamo anche imparato a fidarci degli americani, che alla fine avevano ragione con tutti i loro avvertimenti prima del febbraio 2022.
Ci sono stati attacchi feroci sui civili a Serhijivka, regione di Odessa, sul centro commerciale di Kremenchuk e nella zona centrale della città di Vinnytsia, il capoluogo della regione dove sono nata. Però che io sia nata lì non c’è scritto da nessuna parte, perché la mia famiglia era sfollata lì a causa dell’esplosione della centrale nucleare di Chornobyl’, sfollata un po’ tardi, il solito ritardo sovietico, quindi tutte le radiazioni che potevano prendere mia madre e la sua pancia al settimo mese di gravidanza sono state prese.
Eravamo sfollati, ma a casa della bisnonna. La casa con la vigna e le botti di vino in una fresca cantina sotto il pavimento del corridoio, era già un rifugio anti aereo?
Sfollati, come adesso lo sono milioni di ucraini. Anche loro nasceranno lontani da casa. Dove verranno registrati? Io sono stata registrata nella terra di mio nonno, nell’area della capitale e non dove sono effettivamente nata, nella terra di mia nonna. Forse era burocraticamente più comodo registrarmi lì, dove vivevano i miei, dove alla fine sono tornati a vivere o forse perché era la regione della capitale più affascinante.
Ricordo bene il monumento dell’aereo in piazza a Vinnytsia, dove il missile ha deciso che la piccola Lisa non dovesse vivere più. Un’intera giornata a seguire le notizie e a sentire le persone del posto ma nessuna riga, nessun sentimento si è trasformato in parole. Solo qualche tweet.
I tweet sulla guerra oggi vanno poco, neanche i troll russi che vengono ogni tanto a sputacchiare nei commenti riescono a scuotere l’algoritmo. C’è stata la crisi di governo e non bisogna saper leggere le carte o il futuro in una palla di vetro per capire causa e conseguenza e i legami politici e geopolitici al giorno d’oggi in Europa. E al giorno di oggi, in Europa c’è una guerra.
Allora perché non scrivo? La siccità ha colpito non solo i rubinetti, ma anche me? Forse sono rimasta vittima dell’estate, del mare e delle creme solari che a maggio avevo desiderato non arrivassero? Ma non sono al mare, anzi le rituali domande «dove vai quest’estate?» mi danno un tantino fastidio. Non esco quasi di casa, soffro il caldo, che arduamente condivido con il mio ventilatore Ardes, provo a leggere, a gestire qualche cosa di lavoro, sto sempre attaccata al sito delle notizie, ma non scrivo. O magari il sentimento è cambiato? Quale è la classifica dei sentimenti? Quanto dura l’adrenalina? Quando si inizia ad abituarsi? Sono in modalità “ricalibrare” per ripartire con forze nuove a settembre? Quale è la differenza tra me, ucraina, e gli altri che vivono l’estate?
O forse perché i biglietti sono stati presi e non faccio nient’altro che pensare al viaggio in Ucraina e a percorrere nella testa tutte le tappe: Bergamo-Cracovia-Lviv-Kyjiv-Zaprudka. Zaprudka è il paesino dove sono stata registrata all’anagrafe, non dove sono nata, ma è comunque quello che c’è scritto nei miei documenti di nascita e di origine. Me lo tengo, non lo cambio, e magari arrivandoci butterò giù finalmente qualche riga.