Ogni investitore deve avere un’opinione sul futuro. Che ne sia consapevole o meno, ogni investimento si basa su previsioni. Naturalmente nessuno può sapere cosa ci riserverà il futuro, ma ha senso pensare agli scenari probabili. Per esempio, 20 anni fa ho consigliato di investire in immobili residenziali a Berlino. Ho anche acquistato oro. Entrambi erano impopolari all’epoca. Ho comprato oro a 10.000-14.000 euro al chilo; oggi il prezzo è salito a circa 55.000 euro. Da allora ho venduto la maggior parte del mio patrimonio immobiliare berlinese, per un valore almeno quattro volte superiore a quello iniziale.
Ero quindi giustamente ottimista sugli immobili residenziali e sull’oro, ma ero pessimista sull’euro e preoccupato per l’inflazione. Naturalmente, non sapevo esattamente quando l’euro si sarebbe trovato in gravi difficoltà o quando l’inflazione avrebbe fatto capolino. Ma per tutti i miei investimenti penso sempre a lungo termine, cioè in un arco temporale di almeno dieci anni. È difficile o addirittura impossibile prevedere l’andamento del mercato nel breve periodo.
Pensare a lungo termine (10 anni e oltre!)
Nel 2015, ho scritto in un mio libro che «Il dollaro avrà un andamento più positivo dell’euro nel lungo periodo». Spiegavo la mia previsione come segue: «La combinazione di uno stato sociale di vasta portata e di tendenze demografiche negative in Europa (negli Stati Uniti è esattamente il contrario) non depone a favore dell’euro, così come il minore potenziale innovativo dell’Europa. Inoltre, non credo nelle valute ‘costruite’ artificialmente e con alla base motivazioni di natura politica. Ho quindi deciso di investire circa un terzo del mio denaro in dollari, soprattutto in immobili statunitensi… Se si pensa davvero a lungo termine, si hanno diverse opportunità come investitori, perché i mercati finanziari sono dominati da trader che operano su orizzonti di investimento molto brevi e di solito non sono interessati agli sviluppi a lungo termine – e anche se lo sono, spesso non sono molto bravi a valutarli».
Le obbligazioni indicizzate all’inflazione nel vostro portafoglio
Ho delle obbligazioni nel mio portafoglio d’investimenti. Perché? Perché non ha senso investire al 100% nei mercati azionari o immobiliari. È vero che sono i mercati che offrono i rendimenti più elevati, ma sono anche i più rischiosi. Inoltre, non offrono la liquidità necessaria per intervenire in caso di crollo del mercato. In questo caso, comprare è una buona strategia. Nel marzo 2020, quando i mercati azionari sono crollati in seguito alla crisi del coronavirus, ho investito in maniera significativa in un ETF azionario globale. Ho potuto farlo solo perché avevo sufficiente liquidità.
La liquidità va parcheggiata da qualche parte. Ovviamente non mi verrebbe mai in mente di prestare diversi milioni a una banca, quindi un conto corrente è fuori questione per me, almeno per importi di milioni. Ho parcheggiato il mio denaro in titoli di Stato a breve scadenza emessi dai Paesi con i migliori rating (ad esempio Germania, Austria, Stati Uniti). A breve termine perché il rischio delle obbligazioni a lungo termine è troppo elevato per me. Ho investito anche in obbligazioni indicizzate all’inflazione, ossia obbligazioni il cui valore è legato all’inflazione.
Ecco un’altra cosa che ho scritto nel mio libro del 2015:«Un’eccezione è rappresentata dalle obbligazioni indicizzate all’inflazione, disponibili in Germania dal 2006. Queste obbligazioni hanno un tasso di interesse più basso, ma offrono una protezione contro l’inflazione. Chi teme che i governi tentino di ridurre l’entità del proprio debito attraverso una politica inflazionistica dovrebbe acquistare obbligazioni indicizzate all’inflazione. Finché gli operatori di mercato considerano l’inflazione una prospettiva irrealistica, queste obbligazioni sono ancora disponibili a un prezzo basso».
Quest’ultimo è sia un’opportunità che un problema. Perché? Perché quando si acquista un’obbligazione indicizzata all’inflazione alcune aspettative di inflazione sono sempre prezzate. Ad esempio, nel 2015 le obbligazioni tedesche indicizzate all’inflazione avevano un’aspettativa di inflazione dello 0,55%. Come ho spiegato all’epoca: «Dal momento in cui l’inflazione sale oltre lo 0,55%, l’investitore con l’obbligazione indicizzata all’inflazione è più avvantaggiato rispetto all’investitore che punta su un’obbligazione classica senza protezione dall’inflazione». Naturalmente, oggi la situazione è completamente diversa. Ma solo pochi mesi fa ho acquistato obbligazioni indicizzate all’inflazione con un’aspettativa di inflazione di appena il 2% nei prossimi quattro o cinque anni. Mi aspettavo (e mi aspetto tuttora) un’inflazione superiore nei prossimi anni.
Come potete immaginare, sono molto soddisfatto che la maggior parte delle obbligazioni del mio portafoglio sia indicizzata all’inflazione. Per inciso, ho affittato numerosi appartamenti con contratti di locazione anch’essi indicizzati all’inflazione.
Attualmente le obbligazioni indicizzate all’inflazione non sono più così convenienti come un tempo. Inoltre, sconsiglio l’acquisto di obbligazioni indicizzate all’inflazione con una durata lunga (ad esempio 10 anni) perché è molto rischioso in caso di aumento dei tassi d’interesse. D’altra parte, un’obbligazione indicizzata all’inflazione con una durata di un anno non serve a nessuno, perché probabilmente l’inflazione non si esaurirà in soli 12 mesi. Non esiste una soluzione ideale. Qualche mese fa sono sceso a un compromesso e ho acquistato obbligazioni con scadenza a quattro o cinque anni. Di solito sono un fan degli ETF, ma solo per le azioni, non per questo tipo di obbligazioni. Esistono ETF che investono in obbligazioni indicizzate all’inflazione, ma nella maggior parte dei casi le scadenze sono troppo lunghe, il che comporta un elevato rischio di prezzo.
L’Europa è in declino
Le pietre miliari del mio portafoglio non sono ovviamente le obbligazioni indicizzate all’inflazione, ma le azioni e gli immobili, che mantengo anche in periodi di turbolenza. Tuttavia, alcuni anni fa ho spostato parte del mio denaro dagli immobili tedeschi a quelli americani. Il motivo principale per cui ho mantenuto alcune delle mie proprietà residenziali tedesche è che venderle prima della fine di 10 anni avrebbe avuto implicazioni fiscali negative. Ho mantenuto anche alcuni appartamenti per i quali non prevedo alcuna perdita di valore.
Per quanto riguarda gli immobili statunitensi, negli ultimi anni non sono stati un buon investimento per me. Non ho perso denaro, ma il valore del fondo immobiliare statunitense in cui ho investito si è mosso lateralmente. Dal punto di vista valutario, la decisione è stata comunque giusta, perché per ogni centesimo di diminuzione dell’euro o di aumento del dollaro, il mio patrimonio aumenta (dal punto di vista di un investitore in euro). Inoltre, mi aspetto che nei prossimi anni il mercato immobiliare americano superi quello tedesco. La Germania – e l’Europa in generale – è in declino. Lo conferma un recente studio di EY: se alla fine del 2007 c’erano ancora sette aziende tedesche tra le 100 di maggior valore al mondo, alla fine del 2021 ce n’erano solo due. Nella prima metà del 2022, non c’è più nessuna azienda tedesca tra le prime 100. Prima della crisi finanziaria della fine del 2007, 46 delle 100 aziende di maggior valore al mondo erano europee. Il numero di aziende statunitensi tra le 100 aziende di maggior valore al mondo a metà del 2022 è di 60.
In conclusione: pensare agli scenari più probabili e, soprattutto, pensare a lungo termine. La maggior parte delle mie decisioni di investimento si sono ripagate solo dopo 5-15 anni. Se non avete pazienza, continuate pure a giocare d’azzardo, ma non è così che diventerete o resterete ricchi.