La bella trovata sovranista di subordinare la concessione della cittadinanza alla prova di erudizione sulle abitudini alimentari delle genti italiche e sul calendario delle sagre di paese sarebbe solo materia da barzelletta, e l’ennesima riprova del livello disperante di questa destra ciabattona, se non denunciasse una questione in realtà serissima e ben più implicante.
Dietro quella stupidaggine, infatti, lavora il pregiudizio diffuso per cui la concessione di un diritto presuppone uno scrutinio delle dotazioni di chi lo reclama: dalla conoscenza dell’Ave Maria sino, appunto, alla dichiarazione di fedeltà alle polpette al sugo e alla tradizione del capocollo al pepe.
L’idea che al cittadino – straniero come italiano – si debba solo chiedere il rispetto della legge uguale per tutti e che, al contrario, sia del tutto incongruo e profondamente illiberale richiedergli una qualsiasi prova di italianità, è evidentemente del tutto estranea a questi distributori di diritti a punti. Ai quali sfugge che la diffusione del cous cous in luogo delle penne all’arrabbiata può anche rattristare, ma non la fermi con la prova scritta sull’arte del soffritto.
E vale, il ragionamento, anche per le cose più significative, a cominciare (è sempre il solito discorso) dai simboli delle nostre presunte radici, tipo il crocifisso nelle scuole. Che andrebbe rimosso anche solo per ragioni profilattiche, e cioè per impedire che domani insorga la pretesa (come contestabile, a quel punto?) che nei luoghi popolati da maggioranze diverse si impongano i relativi e diversi simboli. È la presenza dello Stato laico e democratico a garantire i diritti di tutti, non quello che chiede il curriculum di buona educazione gastronomica.
Per un allocco di destra che oggi propone quelle fesserie, c’è domani il coglione di sinistra che pretende il giuramento antimafia e antifascista, l’uno e l’altro accomunati dal medesimo pregiudizio per cui i diritti si meritano: e così, secondo stagione e maggioranza, la concessione della benemerenza repubblicana previa professione di italianità misurata sull’adempimento catechistico, sul grado di venerazione del Dpcm anti-Covid, sulla documentazione della militanza anti-omotransfobica tramite dichiarazione che il ddl Zan è il punto di riferimento fortissimo di tutti i legislatori democratici, e via di questo passo sul percorso dell’identico nazionalismo illiberale che scambia il dovere di rispettare le regole e le pratiche comuni con il dovere di ritenerle giuste mandandone a memoria il ricettario.