Chi ha anni e memoria sufficienti per ricordare cosa fosse la politica primo-repubblicana, ricorderà quel misto di arroganza e ottusità, spregiudicatezza e superbia, che il Partito Comunista italiano esprimeva verso tutto il mondo progressista non comunista, considerato, né più né meno, un’intendenza che disciplinata avrebbe dovuto seguire le direttive del Partito (quello vero, con la maiuscola) o, in caso di insubordinazione, essere punita e possibilmente sputtanata per intelligenza col nemico o tradimento del popolo. Era la versione democratica della dottrina del socialfascismo, che nel Ventennio screditava gli antifascisti avversi all’egemonia comunista come collaboratori del regime e quinte colonne del potere mussoliniano.
Visto che metodi e cultura del potere sopravvivono brillantemente ai tracolli ideologici, questa attitudine comunista al biasimo e al comando è entrata anche nei geni del Partito Democratico, che pure vanta alcuni gradi di separazione dal comunismo e si manifesta, come tutti i vizi e i difetti, con più virulenza nei momenti di crisi e di emergenza, quale è oggi quella provocata del voto anticipato.
Lasciamo perdere di chi sia stato l’innesco della crisi e lasciamo anche stare quanti, dentro e fuori i confini del PD, continuano a giustificare e scusare l’intemperanza dell’ex fortissimo riferimento della sinistra, provocato da Mario Draghi. Lasciamo anche perdere quel fantastico esercizio di doppiezza – sempre a proposito di lasciti familiari – che porta al momento a escludere per le elezioni politiche il Movimento 5 Stelle dal campo progressista, salvo includerlo nei campi larghi delle regioni che andranno prossimamente al voto (Sicilia, Lazio e Lombardia).
Consideriamo semplicemente la motivazione con cui il Pd afferma la necessità di una alleanza vasta contro la destra: impedire che questa ottenga la maggioranza assoluta dei seggi nelle camere.
Per rafforzare questa motivazione, non manca neppure chi evoca il rischio di una maggioranza dei due terzi, che darebbe modo a Meloni, Salvini e Berlusconi di cambiare la Costituzione senza passare dal referendum confermativo.
Quest’ultima è una previsione apocalittica e irrealistica perché – facciamo l’esempio della Camera – anche vincendo tutti, dico tutti, i collegi uninominali (147 su 147) e conquistando il 45% dei seggi proporzionali (110 su 245) la destra non raggiungerebbe i due terzi dei seggi (al netto dell’esito del voto per gli 8 seggi delle circoscrizioni estere). La maggioranza assoluta dei seggi invece è a portata di mano e per raggiungerla la destra, sulla base delle attuali percentuali nazionali, dovrebbe vincere circa i due terzi dei collegi uninominali.
In ogni caso, anche dal punto di vista tecnico, una competizione elettorale con quattro poli principali, pure diseguali (M5S; PD, sinistra e post-grillini; area libdem Calenda-Renzi-ex FI; destra), aumenterebbe il potere di attrazione di un centro autonomo sull’elettorato di destra, e potrebbe fare perdere alla destra sul proporzionale i seggi guadagnati sul maggioritario, grazie a una maggiore frammentazione.
Comunque tutti questi rischi nascono dal combinato disposto della riforma costituzionale sul taglio dei parlamentari e del mancato adeguamento della legge elettorale, per cui le responsabilità sono innanzitutto del Pd che, dopo avere votato tre volte contro, ha votato la quarta a favore della ghigliottina della rappresentanza e in seguito, durante il governo Conte II, si è opposta alla trasformazione della legge elettorale in senso proporzionale, per mantenere in mano il boccino del campo progressista e quindi un potere di ricatto verso le forze contigue, in modo da continuare a trattarle come cespugli.
Il maggioritario per il Pd non è stato in tutti questi anni il sistema elettorale più adeguato per il governo dell’Italia, ma il sistema di ricatto più conveniente verso il mondo non PD. Il proporzionale avrebbe scalfito il monopolio del Pd sul campo anti-sovranista e consentito la nascita e l’organizzazione di altre forze politiche, affrancate dal ricatto del voto utile. Inoltre, per sua stessa natura, il proporzionale avrebbe minimizzato il rischio che dalle urne uscissero maggioranze preconfezionate, ubriacate dal successo e interessate a cambiare a proprio favore le regole del gioco, a partire da quelle costituzionali.
Invece il Pd ha barattato il taglio dei parlamentari per il ritorno al potere e ha difeso il maggioritario in funzione anticoncorrenziale. Dopo un comportamento così smaccatamente anti-patriottico, invocare una sacra unione patriottica contro la destra, per la difesa della libertà e della Costituzione, è una cosa degna del vecchio PCI, cioè, diciamolo, una cosa abbastanza indegna.