Il progetto del nuovo rigassificatore galleggiante (FSRU) nel porto di Piombino, in provincia di Livorno, si sta scontrando con il malcontento di esponenti politici, associazioni ambientaliste e cittadini. Per rendere l’idea, sabato 18 giugno sono scese in piazza Bovio più di 2.000 persone, e le proteste potrebbero andare avanti anche nelle prossime settimane.
Una consigliera regionale della Toscana, Silvia Noferi (Movimento 5 Stelle), è arrivata persino a dire che «con il rigassificatore mettiamo a repentaglio la sicurezza di un’intera città», trasformandola «in un obiettivo sensibile in caso di attacco militare da parte della Russia». Dichiarazioni che, finora, hanno rappresentato il momento clou di un mare di polemiche a tratti pretestuose, non curanti di una serie di fattori tecnici (e oggettivi) e del fatto che l’Italia ha urgente bisogno di ridurre la propria dipendenza dal gas russo.
6,5% del fabbisogno nazionale di gas
La nave – che dovrebbe diventare operativa in tempi brevissimi (primavera 2023) dovuti anche a iter burocratici accelerati – potrà contribuire da sola al 6,5% del fabbisogno nazionale di gas. A riportare questo dato è stato Stefano Venier, l’amministratore delegato della Società nazionale metanodotti (SNAM), proprietaria dell’unità galleggiante che attraccherà al porto di Piombino. Sul sito della SNAM si legge che Golar Tundra, il nome della nave, avrà una capacità di stoccaggio di 170.000 metri cubi e una capacità di rigassificazione di 5 miliardi di metri cubi all’anno.
In questo momento l’Italia dispone di tre rigassificatori: a Livorno, Rovigo e La Spezia. Oltre a Piombino, ne nascerà un altro a Ravenna, anch’esso destinato a diventare operativo nella prima metà del 2023. Ma come funzionano queste unità galleggianti? Il rigassificatore riceve da altre navi il metano in forma liquida (il GNL, gas naturale liquefatto) a una temperatura di circa -160°C. A quel punto lo riporta allo stato gassoso, così da immetterlo nella rete nazionale di trasporto del gas. Nello specifico, gli impianti utilizzano l’acqua di mare come fonte di calore per riportare il gas alla temperatura ambiente.
La città di Piombino, ci spiega l’ingegnere meccanico Leonardo Brunori (Executive vice president energy & mobility di RINA), è stata scelta perché soddisfa una serie di caratteristiche difficili da rilevare altrove: «Per un progetto del genere bisogna trovare un’area portuale con una banchina libera di almeno 300 metri, con un fondale adeguato al movimento di una nave gasiera (minimo 15 metri) e con lo spazio sufficiente per fare manovra. Inoltre, il porto deve essere vicino alla rete di connessione nazionale, che serve per agganciarsi al gas».
Il cloro e gli sbalzi termici in mare
Il fronte del “no”, oltre ad accusare il governo di una scarsa (se non assente) comunicazione con gli enti locali e gli abitanti, è preoccupato per una serie di fattori economici, ambientali e di sicurezza (che spesso si intrecciano tra loro). I pescatori, in particolare, temono un danneggiamento dell’ecosistema marino a causa del cloro rilasciato dalla nave e degli sbalzi termici creati durante il processo di rigassificazione. La conseguenza? Secondo loro, una riduzione della qualità e dell’attrattività sul mercato del pesce e dei frutti di mare che vivono in quelle acque.
«Questi due aspetti sono due “non problemi”, ai pesci non succede niente», sostiene l’ingegner Leonardo Brunori, «nessuno si preoccupa mentre gli stabilimenti balneari o gli hotel sulla costa svuotano le piscine per cambiare l’acqua. Stiamo parlando della stessa quantità di ipoclorito di sodio. Sono quantitativi minimi, analizzati e regolamentati». I rigassificatori non sono impianti chimici che hanno bisogno di prodotti con particolari caratteristiche di velenosità.
Per quanto riguarda gli sbalzi termici in mare, «il terminale prende dell’acqua da una parte, e la riemette più fredda da un’altra. Ma questa differenza di temperatura si disperde subito, ed è un fenomeno solo locale. E non è tutto: il rigassificatore non funzionerebbe se l’acqua si raffreddasse in modo significativo».
La vicinanza alla costa e la sicurezza
La nave Golar Tundra, costruita nel 2015, è lunga 293 metri e larga 40, e rimarrà attraccata in pieno porto (vicino alla terraferma). Tuttavia, la vicinanza alla costa non è affatto un’anomalia ed è una scelta contraddistinta da vantaggi in termini operativi, ambientali e di sicurezza. Banalmente, rende più facili e immediati gli interventi per risolvere anomalie o guasti tecnici.
Secondo Brunori, un rigassificatore galleggiante in un’area portuale «è più facile da gestire in termini di ricezione delle navi gasiere, di carico e scarico del GNL e di produzione del gas. In più, essere sulla costa rende il tutto più sicuro».
Costruire l’impianto su strutture offshore in alto mare sarebbe stato possibile, ma il processo sarebbe stato più lungo (situazione incompatibile con la guerra in corso) e più dannoso per l’ambiente: «Per i rigassificatori offshore bisogna far passare un tubo in mezzo al mare e mettere dei sistemi di ancore. Tutto ciò ha un impatto sul suolo marino e sulla biodiversità. Chi guarda solo all’aspetto paesaggistico, pensa che l’impatto ambientale sia nullo perché non vede più la nave in porto. Non è così, anzi: l’impatto dei rigassificatori in mezzo al mare è potenzialmente maggiore», sottolinea l’ingegnere di RINA.
«I rigassificatori di oggi sono unità realizzate con materiali molto speciali e con tecniche evolute. E negli anni hanno sempre riportato dei record di sicurezza altissimi. La pericolosità è minima in questi contesti: sono impianti estremamente sicuri», rassicura Brunori.
Infine, ricordiamo che il rigassificatore nel porto di Piombino sarà una soluzione temporanea per far fronte alla nostra necessità di diversificare le fonti energetiche. Roberto Cingolani, ministro per la Transizione Ecologica, ha detto che l’area portuale del comune toscano ospiterà l’unità galleggiante per uno o due anni: «Una volta scollegata, la nave può essere sistemata altrove con facilità. È poco più complesso che far partire una normale nave da un porto», conclude Leonardo Brunori.