La Russia è inadempiente nei confronti dei suoi creditori e degli investitori che detengono le sue obbligazioni internazionali. In altre parole, è in default tecnico. Cento milioni di dollari di interessi per due bond denominati in dollari sono scaduti domenica sera, ma non c’è stato alcun pagamento: è il primo default di Mosca dalla crisi finanziaria del 1998.
I 100 milioni di dollari di interessi potevano essere pagati entro il 27 maggio scorso. Poi, come sempre in questi casi, c’è un “periodo di grazia” di un mese che dovrebbe consentire al debitore di mettersi in regola. Il mese scadeva ieri, domenica 26 giugno.
La Russia in realtà avrebbe sufficienti riserve economiche – grazie alle esportazioni di petrolio e gas – ma a causa delle sanzioni applicate in questi mesi non riesce a fare operazioni sullo scenario finanziario internazionale. È per questo che si tratta di un default molto singolare: Mosca non ha pagato non perché non volesse o non avesse i fondi per farlo, ma perché le condizioni economiche imposte dall’Occidente glielo hanno di fatto impedito. Un caso senza precedenti.
Forse è per questo che nessun organismo internazionale ha ancora dichiarato la Russia in default. Perché se da un lato è vero che le agenzie di rating, ad esempio, si sono svincolate dalle entità russe da un po’, sulla scia delle sanzioni internazionali, dall’altro probabilmente si cercano conferme più nette.
L’ultimo default sul debito estero della Russia, scriveva ieri Bloomberg, risale a un secolo fa, cioè quello al 1918 – a differenza del 1998, che era un default sul debito interno. All’epoca, dopo la Rivoluzione bolscevica, il leader sovietico Lenin si rifiutò di ripagare i debiti internazionali che erano stati fatti dall’impero ormai scomparso.
La condizione di isolamento dal sistema economico internazionale che ha tolto a Mosca ogni possibilità di fare le transazioni necessarie per il pagamento, unito alla teorica disponibilità economica di pagare i debiti, potrebbe spingere il Cremlino a rifiutare la definizione di default: il ministro delle Finanze Anton Siluanov ha già puntato il dito contro i governi occidentali dicendo che stanno cercando di costringere il Paese «a un default artificiale e hanno tentato di aggirare le loro stesse sanzioni suggerendo che Mosca potrebbe pagare in rubli se i pagamenti in dollari non possono raggiungere gli obbligazionisti».
Un mese fa, prima della scadenza ufficiale dei termini per il pagamento, la Russia ha incontrato un enorme ostacolo sul suo cammino, scrive il Financial Times: «L’Office of Foreign Assets Control (OFAC) del Dipartimento del Tesoro degli Stati Uniti ha effettivamente bloccato Mosca dall’effettuare pagamenti».
Di norma, le conseguenze di un default sono molto dure per il Paese che lo dichiara, in questo caso però le conseguenze per la Russia potrebbero essere relativamente contenute. Di solito infatti c’è un problema di fuoriuscita rapida di tutti gli investimenti esteri, e si registra un’enorme difficoltà a rifinanziarsi sui mercati. Ma tutte queste cose sono ormai lo status quo da diverse settimane.
Intanto dal G7 è in arrivo anche un bando dell’oro russo: stop delle importazioni impedirà agli oligarchi di usarlo per convertire i loro beni e aggirare così le sanzioni.
Può sembrare singolare che questa decisione arrivi così tardi, dopo oltre quattro mesi di guerra e decine di tavoli per stabilire se applicare questo o quel tipo di sanzione per colpire l’economia del Cremlino.
La Russia è il secondo produttore mondiale di oro, ogni anno estrae il 10% del totale estratto su scala globale, e rappresenta la seconda voce, dopo l’energia, delle esportazioni russe. Inoltre, le disponibilità auree della Russia sono praticamente triplicate dopo l’annessione della Crimea nel 2014. Cosa più importante, le riserve auree in Russia sono rimaste invariate nel primo trimestre del 2022 rispetto agli ultimi quattro mesi del 2021, secondo il World Gold Council.
Il bando all’oro russo, però, sarebbe per lo più simbolico, secondo alcuni analisti, poiché i suoi flussi sono già stati limitati dalle sanzioni. «L’impatto di un divieto sulle importazioni di oro russo da parte delle nazioni del G-7 sarà probabilmente piuttosto limitato, dato che il settore ha già adottato misure per limitare l’oro russo», ha detto a Bloomberg Warren Patterson, capo della strategia delle materie prime di ING Groep NV.
Vivek Dhar, analista della Commonwealth Bank of Australia specializzato in materie prime, diramato una nota ufficiale in cui spiega che tale divieto «formalizza ciò che è stato in gran parte in vigore tramite sanzioni», e infatti non si aspetta un rialzo sostanziale dei prezzi dell’oro.
Infine, come scrive Politico, fin qui le sanzioni – per quanto ampie e aggressive – non hanno ancora scoraggiato davvero Putin, né lo hanno convinto a ritirare le sue truppe dall’Ucraina.