Ora che Mario Draghi si è messo da parte, dimostrando di essere uno statista, non un tecnico per tutte le stagioni, i Cinquestelle fuori di testa potrebbero aprire un’autostrada al centrodestra verso il potere. Ma i giri di valzer non sono finiti e il centrodestra va in frantumi. Una variabile indipendente è la Lega. Dipende da Matteo Salvini se la destra metterà il pallone sul dischetto e tirare un calcio di rigore a porta vuota. In sostanza, non votare la fiducia a un nuovo governo di transizione o balneare, significa andare al voto in autunno. Si precipiterebbe alle urne con l’attuale legge elettorale, il Rosatellum, si ucciderebbe in culla ogni tentativo di terzo polo, il Partito democratico sarebbe all’angolo senza alleati, e il centrodestra unito avrebbero grandi chance di avere una maggioranza in Parlamento.
È chiaro che questa coalizione ha tutto l’interesse a far precipitare la situazione, un interesse cinico senza dubbio di fronte alle emergenze in cui siamo immersi. E non c’è alcuna certezza che una nuova maggioranza uscita dal voto sia in grado di affrontarle e risolvere nel contesto europeo e internazionale che si è venuto a creare. Non si tratta soltanto, e non è certo poco, della crisi energetica, dell’inflazione, dei miliardi da usare del Pnrr. Ci sono questioni non risolte tutte interne al centrodestra. Lega, Forza Italia e Fratelli d’Italia sono distanti sulla guerra in Ucraina.
Matteo Salvini è in modalità pacifista, cioè più armi a Kyjiv più dura il conflitto. Giorgia Meloni è allineata alle posizioni durissime della Polonia, il Paese punta di lancia anti-Putin. Prendiamo un altro tema, quello della autonomia regionale: i leghisti lo chiedono da anni, i governatori Luca Zaia, Massimiliano Fedriga e Attilio Fontana ne fanno una questione esiziale. Hanno fatto dei referendum e li hanno vinte con percentuali bulgare. Ma nell’applicare concretamente l’autonomia regionale sorgerebbero le resistenze di Fratelli d’Italia, un partito con una cultura politica statalista che non ha mai visto di buon occhio il vantaggio delle Regioni del nord, penalizzando quelle del sud.
Solo due esempi, ma c’è ne sarebbero altri, per dire che un governo di centrodestra durerebbe pochino. Arriverebbero, inoltre, al voto stressati dalla trattativa per la divisione dei collegi uninominali, litigherebbero per l’assegnazione dei ministeri. E infine il problema dei problemi: inquilino di Palazzo Chigi. Di tutto questo abbiamo scritto tanto su Linkiesta. Rimane tuttavia il fatto che la crisi di governo, potrebbe mettere il pallino nelle mani di Meloni, Salvini e Berlusconi.
Rigore a porta vuota, appunto, però non tutto è così scontato. Intanto Berlusconi potrebbe smarcarsi e sostenere qualunque soluzioni. Favorendo le elezioni, il Cavaliere dovrebbe giustificarsi con il Partito popolare europeo, rispondere allo sgomento di un elettorato, soprattutto quello dei suoi colleghi imprenditori, che considerano quello che sta accadendo una follia.
Anche la Lega ha in parte questo problema. In più Salvini sembra voler cogliere la palla al balzo e dire di essere disposto a sostenere una nuova avventura governativa alle sue condizioni. Non è un caso che, mentre Draghi saliva e scendeva dal Quirinale, nelle ore di totale incertezza su cosa stava accedendo, è venuto fuori una nota del Carroccio per dire che Salvini sta mettendo a punto una proposta di pace fiscale. E anche un intervento fiscale ad hoc per le famiglie. In questo modo il capo leghista alza il prezzo per far durare la legislatura fino al suo naturale scadenza. Insomma, sogna di essere il dominus della nuova maggioranza. Un sogno di mezza estate che complica il dopo Draghi.
Se ci fosse un’apertura alle proposte della destra leghista o un governo rabberciato della serie “facciamo finta che nulla sia accaduto”, nascerebbe un governo di fatto balneare per evitare di fermare l’attuazione del Pnrr e di finire nell’esercizio provvisorio. Un governo da Prima Repubblica con un altro premier, perché Draghi, nonostante il pressing del Quirinale, non si è reso disponibile a farsi mettere in croce e commissariare. Non sarebbe stato il Draghi che gli italiani hanno conosciuto e appezzato.
Adesso vedremo le mosse di Salvini e di Berlusconi, il quale era intenzionato a votare la fiducia solo a Draghi. Così almeno aveva precisato Antonio Tajani, ma alle piroette azzurre siamo abituati.
Fratelli d’Italia, Lega e Forza Italia sulla carta hanno tutto l’interesse ad andare al voto, ma poi nelle pieghe della politica e degli interessi dei singoli partiti può succedere che si tiri a campare. Tuttavia si tratterebbe di un tirare a campare diverso da quello che teorizzava Giulio Andreotti. Il mondo è diverso, le emergenze sono tragiche. E poi, Salvini e Berlusconi sanno che, votando in autunno, Meloni sarebbe l’asso pigliatutto tutto. Rientrando nei ranghi di una nuova maggioranza con il Pd, le darebbero altro carburante per crescere ancora.
Se il centrodestra si divide a questo passaggio andrebbe in pezzi, in maniera definitiva. Gia Berlusconi fa sapere che senza i Cinquestelle è nata un’altra maggioranza. Aspetta di capire cosa abbia in mente il capo dello Stato: un personaggio come Giuliano Amato lo sosterrebbe. Per Salvini non bisogna avere paura di dare la parola agli italiani. È tattica per rispondere all’impeto di Meloni che indica la priorità: battere il Pd. «Aspettiamo che questa sia la priorità degli altri partiti del centrodestra». Coalizioni che non reggono.