La pandemia da covid-19, oltre agli evidenti impatti sulla vita sociale dei cittadini europei, ha portato anche profondi cambiamenti nel mercato del lavoro e alle condizioni lavorative in Europa. Il fatto che – dalla pandemia in poi – numerosi cittadini trascorrano la parte preponderante delle loro vite “connessi” al lavoro ha contribuito enormemente alla precarizzazione della salute mentale. Ora il Parlamento europeo chiede una strategia ad hoc.
I tassi allarmanti di esaurimento da stress lavorativo, ansia e depressione hanno incentivato la Commissione per l’occupazione e gli affari sociali del Parlamento europeo a presentare, durante la plenaria del 5 luglio a Strasburgo, la risoluzione “sulla salute mentale nel mondo del lavoro digitale”.
I dati discussi in plenaria hanno evidenziato quanto lo smart working rischi di diventare il “far west” dei contratti lavorativi, mancando ancora chiare normative che lo disciplinino.
La rapidissima conversione verso lo smart working ha portato all’identificazione di un vuoto normativo e, non meno importante, ci ha reso più indulgenti rispetto ad una delle peggiori condizioni di lavoro immaginabili: la reperibilità 24/7.
La risoluzione, approvata dal Parlamento, ha evidenziato come nonostante il benessere psicologico sia idealmente oggetto di tutela quanto il benessere fisico, le misure comunitarie tese a garantire la salute mentale sul posto di lavoro sono pressoché scarse. L’obiettivo sarebbe quello di accompagnare la transizione verso un lavoro digital mediante la predisposizione di norme ad hoc che tengano conto del tecnostress, lo stress legato all’uso della tecnologia sul lavoro, e dell’importanza di garantire il diritto alla disconnessione per favorire il benessere mentale dei lavoratori.
Un podcast di Europhonica in collaborazione con Linkiesta Europea a cura di Erika Branca.