Non riuscivo a credere a cosa stavo vedendo. O meglio, a cosa non stavo vedendo.
Era gennaio 2020, una giornata gelida, e stavo scorrendo i feed sui miei social media. Avevo appena finito di pranzare con altri attivisti per il clima che come me si trovavano a Davos, in Svizzera, per esortare qualcuno fra le tre migliaia di capi d’azienda, finanzieri, politici, opinion
leader, celebrità e altri globetrotter che partecipavano al Forum economico mondiale (Wef) annuale a prendere sul serio la crisi climatica.
Quella mattina avevamo tenuto una conferenza stampa, prima della quale mi ero messa in posa per i fotografi con altre quattro attiviste, e mi ero allontanata un attimo dall’area mensa per capire come i media stessero riportando il nostro messaggio. In meno di un minuto, ho trovato un link a un articolo in cui compariva una delle foto che ci avevano scattato. Mi si è quasi fermato il cuore. Era chiaramente l’immagine in cui c’ero anch’io, perché si intravedeva un lembo del mio cappotto al margine sinistro dell’inquadratura. Ma io non c’ero, non mi si vedeva.
Mi avevano tagliata.
Sono stata rapidamente attraversata da tutto un turbinio di emozioni. Ero frustrata, arrabbiata, e imbarazzata. Più osservavo l’immagine, più mi era impossibile ignorare il fatto che delle cinque donne ritratte, io ero l’unica che non veniva dall’Europa e l’unica nera.
Non avevano tagliato solo me, ho realizzato. Avevano tagliato un intero continente.
Alla conferenza stampa di quella mattina a Davos ero l’unica attivista per il clima originaria dell’Africa (e proprio in tutto il Wef ce n’erano pochi altri), e non solo mi avevano tagliata dalla foto dell’Associated Press, ma anche dall’articolo che ne parlava. “Cosa vuol dire, che non ho valore io come attivista o che non valgono niente proprio gli africani?” chiedevo in un video di dieci minuti trasmesso in diretta più tardi quello stesso giorno.
Ero sconcertata dall’ironia crudele di aver escluso dalla foto l’unica africana. “Non ce lo meritiamo,” dicevo. “L’Africa è la fonte minore di emissioni di carbonio, ma siamo i più colpiti dalla crisi climatica.”
Da un anno organizzavo scioperi per il clima nelle strade di Kampala, la capitale e maggiore città dell’Uganda, in Africa Centrorientale, dove vivo, per pretendere un’azione rispetto all’emergenza climatica. Avevo partecipato a conferenze internazionali sul clima e mi ero attivata online, e adesso ero venuta a Davos per aiutare altra gente a rendersi conto della verità, che il riscaldamento globale non è un’idea astratta o
un’eventualità teorica che attende il pianeta tra qualche decennio.
Il mio messaggio era, ed è, semplice e chiaro: la gente in Uganda, in Africa, e in tutto quello che prende il nome di Sud globale sta perdendo case, raccolti, guadagni, e persino la vita, e qualsiasi speranza di un futuro vivibile, e li sta perdendo ora.
Questa situazione non è solo tremenda, è anche ingiusta. Il continente africano, pur contando il 15 per cento della popolazione mondiale, è responsabile di appena il 2-3 per cento delle emissioni globali di anidride carbonica legate all’energia. Le emissioni di gas serra prodotte da un africano medio corrispondono a una minima parte di quelle prodotte dagli abitanti di Stati Uniti, Europa, Cina, Emirati Arabi Uniti, Australia e di molti altri paesi.
Uno studio dell’Oxfam è giunto alla conclusione che una singola persona nel Regno Unito avrà emesso più CO2 nelle prime due settimane
del 2020 di quanta non ne abbia prodotta in tutto l’anno qualcuno in Uganda o in altri sei paesi africani.
Malgrado ciò, secondo la Banca africana di sviluppo, sull’Africa ricadrà all’incirca la metà dei costi dati dall’adattarsi alle conseguenze del cambiamento climatico, e sette dei dieci paesi più esposti agli effetti più duri della crisi climatica sono in Africa: si tratta di Sud Sudan, Nigeria, Etiopia, Eritrea, Ciad, Sierra Leone e Repubblica Centrafricana.
Chi ha meno risorse e meno ha contribuito alla crisi si trova a fare i conti con le sue conseguenze peggiori: inondazioni più frequenti e più gravi, siccità più lunghe, ondate di caldo estremo e innalzamento del livello dei mari. Una sempre maggiore scarsità di cibo, migrazioni forzate, perdite economiche e incremento dei tassi di mortalità sono altri fattori che colpiscono in misura sproporzionata la gente di colore,
non solo in tutta l’Africa e nel resto del Sud globale, ma anche nel Nord globale.
È questo il mio mondo: un mondo in cui la temperatura terrestre è già aumentata di 1,2° Celsius rispetto ai livelli di epoca preindustriale. Un pianeta più caldo di due gradi centigradi è una condanna a morte per paesi come l’Uganda. Eppure, già mentre leggete questo libro, siamo sulla buona strada perché le temperature salgano molto, molto di più di due gradi.
Ciò significa che ci saranno tanti altri milioni di sfollati e che eventi climatici estremi porteranno sistemi sanitari ed economie al punto di rottura. Nel frattempo, gli oceani si vanno esaurendo, crolla la biodiversità, e le specie si estinguono a un ritmo maggiore di quanto mai registrato dall’epoca dei dinosauri.
Il mio video di risposta è stato visualizzato da decine di migliaia di persone in tutto il mondo, molte anche in Uganda, che hanno condiviso con me la rabbia e la delusione. Come me, queste persone si sono rese conto che in quella foto, letteralmente, c’era qualcosa di decisamente sbagliato. Essere tagliata via da quell’immagine ha cambiato il corso del mio attivismo e della mia vita. Ha ricontestualizzato le mie idee in materia di razza, genere, equità e giustizia climatica; e mi ha portata a scrivere le pagine che state leggendo.
In Aprite gli occhi spiego perché quella foto e quel momento hanno contato così tanto, e perché è fondamentale che la lotta al cambiamento climatico includa voci come la mia.
Vi racconterò come ho iniziato a scioperare per il clima, di quel viaggio che poi ho fatto fino alle Alpi e di cosa è successo da allora. Vi mostrerò come quella che dobbiamo chiamare emergenza climatica sia una battaglia nell’immediato, addirittura nel quotidiano, per milioni di persone, anche nell’intera Africa, e come il surriscaldamento dell’atmosfera terrestre sia legato a tutto: all’economia, alla società, alla politica e a parecchie forme di disuguaglianza e ingiustizia, in termini di razza, genere e collocazione geografica.
Come molti dei giovani attivisti per il clima con cui mi sono organizzata e da cui ho tratto ispirazione, vivo in un mondo profondamente interconnesso, con accesso istantaneo a una mole enorme di informazione (e disinformazione) e più mezzi per collegarmi agli altri di quanti non se ne abbiano avuti in qualsiasi altra epoca storica.
Chi di noi è nato alla fine del secolo scorso e nei primi anni di questo è cresciuto all’ombra dell’Hiv/Aids, del terrorismo, delle catastrofi finanziarie e di enormi cambiamenti e stravolgimenti tecnologici. Siamo stati testimoni di sempre maggiori concentrazioni di ricchezze e di sempre maggiori disparità di potere. Molti di noi hanno vissuto in prima persona il modo in cui gli ecosistemi del nostro pianeta stanno collassando sotto il peso di stress climatici senza precedenti nella storia dell’umanità.
Forse più di qualsiasi altra fascia d’età, stiamo mettendo in discussione le premesse di un modello economico, sociale e politico che ci ha spinti sull’orlo di un precipizio oltre il quale nessun sistema economico o di governance potrà sopravvivere. Tutti questi dati di fatto ci hanno indotti a renderci conto che saremo noi, e quelli che verranno dopo di noi, a portare il peso di secoli e secoli passati a bruciare combustibili fossili e dello sciagurato fallimento nel lasciare sotto terra il carbonio residuo.
Aprite gli occhi mostra anche il lavoro e i punti di vista di una nuova ondata di attivisti di una giovane generazione. La visione di molti di loro si concentra sull’Africa e dall’Africa parte, da un continente per troppo tempo ignorato, costretto al silenzio e sfruttato. Crediamo che al cuore di questo sforzo debba esserci un impegno genuino non soltanto ai fini della giustizia ambientale, razziale e climatica, ma anche a favore dell’emancipazione di ragazze e donne, che stanno facendo i conti più pesanti con la crisi e sono in prima linea nelle iniziative tese a combatterla.
Se non affrontiamo il cambiamento climatico, non riusciremo a raggiungere gli Obiettivi di sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite, né a realizzare un futuro di resilienza e sostenibilità. Vi condividerò anche le soluzioni pratiche che gli attivisti per il clima stanno attuando per sostenere le comunità in Uganda e in altri paesi dell’Africa e di tutto il mondo.
Da ultimo, vi darò alcune idee per potervi attivare e rispondere all’emergenza climatica ovunque viviate, e per poter esaltare la voce e riconoscere la presenza di chi troppo spesso è stato tagliato via dalla foto.
Ho scritto Aprite gli occhi nel mezzo della pandemia di Covid-19 e, come voi, sono sgomenta e profondamente triste per la perdita di così tante vite in così tanti paesi a causa del virus. Famiglie, comunità e nazioni in tutto il mondo sono sotto shock e piangono le esistenze rovinate, le famiglie sfollate, l’istruzione interrotta o abbreviata, le aziende chiuse.
Siamo anche scossi da altre conseguenze vergognose della pandemia: la mancanza di accesso alle cure sanitarie e ai vaccini per la gente di colore; il riacutizzarsi dell’incidenza del fenomeno delle spose bambine e della violenza domestica; e il rinvio di azioni urgenti rispetto all’emergenza climatica. Benché tali disuguaglianze esistessero già prima del Covid-19, il virus le ha portate alla ribalta e ha reso molte di loro persino peggiori.
In questo moltiplicarsi di tragedie, possiamo trovare qualche brusco monito e qualche dura lezione. Primo: gli scienziati ci dicono che le malattie zoonotiche come il Covid-19 diventeranno in futuro sempre più frequenti, visto che invadiamo gli habitat in cui vivono gli animali selvatici, che continuiamo a sfruttare, allevare e vendere questi ultimi vicinissimo alle comunità umane, che chiudiamo miliardi di animali domestici negli allevamenti industriali. Il cambiamento climatico, probabilmente, aumenterà la frequenza e la letalità di malattie del genere.
Secondo: durante la pandemia, la gente di tutto il mondo ha prestato particolare attenzione agli anziani, rivelatisi i più fragili di fronte al virus. Li abbiamo tenuti al sicuro, li abbiamo fatti restare al chiuso. Ma per decenni, molte persone di quelle generazioni hanno preso decisioni che lasceranno esposti i loro eredi agli effetti del riscaldamento globale.
Terzo: la pandemia ha colpito in misura sproporzionata chi aveva meno risorse, minore accesso a cure sanitarie e a cibi sufficientemente nutrienti, chi viveva in condizioni di maggiore assembramento, chi svolgeva un lavoro che rendeva difficile il distanziamento sociale e chi per
condizioni di salute pregresse era più soggetto al rischio di contagio. La maggior parte di queste persone è di colore. Anche questa è un’eco della crisi climatica.
Per finire, i governi continuano a dirci di seguire la scienza riguardo al coronavirus, ma loro non stanno seguendo la scienza riguardo al cambiamento climatico. Non si stanno muovendo nemmeno lontanamente con la rapidità o l’esaustività che gli scienziati ci dicono essere necessarie per rispettare – o superare – gli impegni presi nell’ambito dell’Accordo di Parigi sul clima del 2015.
La pandemia ci ha ricordato che il cambiamento climatico non è in lockdown. Ci ha dimostrato che viviamo in un mondo profondamente interconnesso, e che per sopravvivere abbiamo bisogno gli uni degli altri. Benché le previsioni sul clima siano terrificanti, io credo che possiamo ancora sperare. Dobbiamo. Non c’è alternativa. La pandemia ha dimostrato che (alcuni) leader sono capaci di prestare ascolto alla scienza, e che la comunità internazionale può cooperare per un fine comune. E non importa quanto possano sembrarci inquietanti il presente e il futuro, non abbiamo il tempo né il lusso di chiuderci alle emozioni, soprattutto chi di noi vive in paesi dove la crisi climatica è una realtà di tutti i giorni.
La posta in gioco non potrebbe essere più alta: a meno che non intraprendiamo un’azione drastica adesso, qualsiasi piano per il futuro – grande o piccolo – abbia chiunque di noi è destinato a fallire. Perciò, unitevi a me e ad alcuni dei tanti giovani attivisti per il clima in Africa e in tutto il mondo che si stanno dando da fare adesso per cambiare quel futuro. Lottiamo insieme per ciò che è equo e giusto.
Da Aprite gli occhi di Vanessa Nakate, Feltrinelli, 256 pagine, 17 euro