«Siamo molto delusi dalla discussione con il Pd. Abbiamo iniziato un percorso con Enrico Letta che parlava di agenda Draghi. Oggi quell’agenda è totalmente sparita. Abbiamo presentato un documento preciso su come intendiamo governare il Paese. Non abbiamo avuto alcuna risposta».
Enrico Letta e Carlo Calenda si vedranno oggi, in un incontro decisivo sulla trattativa più importante aperta nel centrosinistra, quella per apparentare in coalizione il Pd e l’area moderata di cui il leader di Azione è capofila. Ma più si avvicina la scadenza per trovare un’intesa, più scema l’ottimismo su una conclusione positiva.
Ma come spiega Calenda in un’intervista al Corriere, non è lui quello che la sta tirando per le lunghe, è Letta che sta prendendo tempo: «È una settimana che gli chiedo di rispondermi ed è una settimana che entrano nella coalizione persone che rappresentano il contrario di quello che dovremmo fare».
Ci sono problemi per la distribuzione delle candidature nei collegi uninominali e soprattutto restano gli ostacoli politici. Emma Bonino spinge all’accordo con il Partito democratico, ma c’è aria di rottura. L’ex ministro dello Sviluppo economico sembra ormai intenzionato a correre da solo, tutt’al più insieme a Matteo Renzi.
«Letta invece di far entrare Marco Bentivogli fa entrare Federico D’Incà che non ha votato la fiducia», commenta Calenda. «Come si fa? Questa coalizione sta diventando una roba improponibile: ci facciamo ridere dietro. Non vinceremo mai così. Con PiùEuropa abbiamo scritto una lettera che stiamo per inviargli dopo avergli detto 70 volte a voce quali erano le nostre condizioni. Ma Letta sparisce. Ci sta portando avanti da una settimana».
Nella lettera cofirmata con Benedetto Della Vedova, Calenda scrive nero su bianco che la sua disponibilità ad affrontare la destra di Meloni e Salvini in coalizione con il Pd è vincolata a una condizione: «Mai e poi mai posso chiedere ai miei elettori di votare per Di Maio, Fratoianni o Bonelli, questo Letta non può chiedermelo, sarebbe un suicidio per me e anche un danno per la coalizione, perché i voti che perderei finirebbero tutti dall’altra parte». La proposta del leader di Azione è che il Pd candidi nella sua lista aperta, Democratici e progressisti, tutti quegli esponenti che, nel ruolo di candidati unici di collegio, creerebbero imbarazzo all’alleato. Calenda si impegnerebbe a fare altrettanto: «Ho già detto a Carfagna e Gelmini che, in caso di accordo con il Pd, non potrebbero essere candidate in un collegio, perché vent’anni di scontri non si cancellano in una settimana e non sarebbe serio chiedere a un elettore del Pd di votare per loro». In questo modo le liste sarebbero apparentate sulla scheda elettorale ma senza l’obbligo di convergere su candidati comuni che Calenda considera imbarazzanti per entrambe le parti. Ognuno elegge i suoi e poi si vede.
«Non chiudiamo la porta al dialogo. Abbiamo chiesto a Letta due cose precise, non chiacchiere e appelli», spiega Calenda. «Primo, non un voto di Azione e PiùEuropa può andare a Di Maio, Fratoianni e Bonelli. Visto che il Pd ci tiene tanto a candidarli, lo facesse nel proporzionale e nella lista Democratici e progressisti. Noi non candideremo negli uninominali Mariastella Gelmini e Mara Carfagna, che pure sono ministre in carica del governo Draghi, proprio per trovare tutte le soluzioni che uniscono. Secondo, va bene avere programmi diversi. Ma non contraddittori. Chiediamo un incontro per definire i punti programmatici comuni».
Per Calenda, ora, «la palla è nel campo del Pd e così la responsabilità di ciò che deciderà di fare. Il segretario dem deve darci una risposta presto. Che non può essere l’appello all’unità perché questa non è una risposta. Basta, Letta decidesse sennò non si chiude e ognuno farà i conti con la propria coscienza».
E a chi gli dice che è lui che non decide, Calenda risponde: «Ma come faccio a decidere se Letta non mi risponde! Lui usa questa strategia: io gli chiedo “Scusa mi dici qual è la posizione sui rigassificatori?” e lui mi risponde “Sono buono, tengo dentro tutti”. Non funziona così: questa non è una proposta di governo. Sta accumulando una contraddizione dietro l’altra. Ogni giorno ce n’è una». Per esempio, «il campo a questo punto nuovamente larghissimo comprende persone come Fratoianni che hanno votato 55 volte la sfiducia a Draghi e Bonelli che non vuole infrastrutture, termovalorizzatori e rigassificatori. Dalle parti del Pd sempre più persone si fanno avanti per ripudiare l’agenda Draghi e chiedere la riesumazione dei Cinque Stelle. Ogni giorno si avvicina qualche M5S che ha non ha votato la fiducia, da D’Incà a Crippa, ma è del tutto illusorio pensare di “svuotare” i grillini diventando la casa dei transfughi dei Cinque Stelle. Ultima chicca: l’improbabile partito di Di Maio e Tabacci. Di Maio è il simbolo del trasformismo e dell’incompetenza».
E intanto Letta, continua Calenda, «si mette a parlare di tasse di successione e improbabili doti ai diciottenni e mentre rischiamo il razionamento del gas i suoi alleati animano le proteste a Piombino. Questa è la situazione. Ora basta. Il Pd non può tenere dentro tutto e il suo contrario. Fatta così questa è una coalizione disegnata per perdere magari con un buon risultato del Pd contro Fratelli d’Italia. Però questo non può essere il nostro obiettivo. Azione e PiùEuropa crescono nei sondaggi perché siamo stati netti e coerenti e non abbiamo ceduto alle sirene di chi raccontava che Conte era il grande punto di riferimento dei progressisti».
Dunque? «Si batte la destra con una proposta di governo, non con le ammucchiate. Altrimenti meglio è per l’Italia che Azione e +Europa sfidino fuori dalla coalizione con coraggio e serietà la destra senza zavorre. Abbiamo levato a Forza Italia la sua parte migliore e più responsabile. Possiamo ripetere il risultato di Roma e determinare la sconfitta della destra sovranista».
E conclude: «Non crediamo e non abbiamo mai creduto alla forza delle coalizioni contro. Questo modo di fare politica ha distrutto il Paese e screditato i partiti. Appelli generici al voto utile non funzioneranno perché i cittadini non ne possono più del trasformismo e della retorica. In questa legislatura tutti si sono alleati con tutti. E noi non vogliamo avere nulla a che fare con chi ha fatto cadere l’italiano più illustre nel mondo».