Coalizione preterintenzionaleIl paradosso di un centrosinistra in cui nessuno fa quello che avrebbe voluto e tutti rischiano di pentirsene

Dopo avere aizzato per anni i propri sostenitori gli uni contro gli altri, democratici e calendiani dovranno trovare alla svelta insospettabili lati positivi, rispettivamente, nei lacchè del neoliberismo e negli irresponsabili populisti con cui si sono alleati

Mihály Köles, Unsplash

L’accordo tra Partito democratico e Azione, ammesso regga perlomeno il tempo che intercorrerà tra l’invio di questo articolo e la sua pubblicazione, sancisce una situazione decisamente paradossale, in cui non uno dei principali leader di quel campo, un tempo largo, fa quello che avrebbe voluto e per cui aveva lavorato, in un tripudio di conseguenze inintenzionali, contraccolpi imprevisti ed effetti collaterali indesiderati. È il trionfo della coalizione preterintenzionale.

Carlo Calenda ha costruito la sua intera fortuna contestando la logica e la retorica del fronte popolare contro la destra, specialmente quando con questo argomento si aprivano le porte al Movimento 5 stelle, come non ha smesso un giorno di rimproverare a Matteo Renzi, dalla nascita del secondo governo Conte in poi. E ora eccolo lì, nel fronte democratico che va da Luigi Di Maio a Nicola Fratoianni (il quale nel frattempo minaccia di sfilarsi, ma questo è un altro discorso). In compenso, se Calenda fa quello che ha sempre rimproverato a Renzi, Renzi da parte sua fa esattamente quello che fino a ieri sosteneva Calenda, annunciando la corsa solitaria in nome di un «terzo polo» al momento composto solo da lui.

Come se non bastasse, il leader di Italia Viva continua imperterrito a rivendicare il merito di avere determinato la formazione di ben due governi in Parlamento del tutto slegati dal risultato elettorale (secondo governo Conte e governo Draghi), ma anche le sue idee di riforma costituzionale e della legge elettorale che avrebbero reso impossibile qualunque manovra del genere, sostenendo dunque contemporaneamente di avere salvato l’Italia dal baratro e di aver fatto di tutto per farcela finire dentro.

Enrico Letta, il suo predecessore Nicola Zingaretti e quasi tutto il loro gruppo dirigente, invece, hanno passato tre quarti della legislatura tentando di costruire l’alleanza con Giuseppe Conte e il Movimento 5 stelle, tagliando così ogni ponte con Calenda e soprattutto con Renzi (in questo caso, quale sia stato l’obiettivo primario e quale l’effetto collaterale è più difficile dire), per ritrovarsi all’ultimo minuto a dover scaricare Conte e supplicare Calenda, regalandogli un’enorme quantità di collegi e una vittoria di immagine (se non altro) che ha inevitabilmente inviperito tutti gli altri.

In altre parole, chi fino a ieri aveva predicato il rifiuto di ogni ammucchiata in nome dell’agenda Draghi finisce in coalizione con chi al governo Draghi ha sempre fatto opposizione; chi fino a ieri aveva predicato la necessità della svolta radicale e sociale deve ora giurare sull’agenda Draghi, in coalizione con Mara Carfagna e Maria Stella Gelmini. Ma il tempo stringe e nei prossimi giorni democratici e calendiani, dopo avere aizzato per anni i propri sostenitori gli uni contro gli altri, dovranno trovare alla svelta insospettabili lati positivi, rispettivamente, nei lacchè del neoliberismo e negli irresponsabili populisti con cui si sono alleati.

La contraddizione maggiore resta però quella di una coalizione che affida tutte le sue (poche) speranze di successo all’evocazione della minaccia sovranista, allo spettro dell’Ungheria di Orbán e della Russia di Putin, al timore di un centrodestra che potrebbe addirittura riscrivere la Costituzione a suo piacimento, eleggere Silvio Berlusconi presidente della Repubblica e qualche suo avvocato alla presidenza della Corte Costituzionale. Argomenti non infondati, che tuttavia non potranno essere utilizzati da chi ha difeso sia il taglio dei parlamentari sia il maggioritario, come ha fatto Letta appena divenuto segretario del Pd, non esitando a farne l’elogio perfino davanti alla platea di Atreju, la festa di Fratelli d’Italia, comprensibilmente esultante.

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