Il 7 dicembre 1972 l’equipaggio dell’Apollo 17 si trova a 45mila chilometri di distanza dalla Terra, in viaggio verso la Luna. Un membro dell’equipaggio, probabilmente il geologo-astronauta Harrison Schmitt, scatta una foto a colori: ancora non lo sa, ma diventerà una fotografia epocale e uno spartiacque nella storia del pianeta.
Per la prima volta la nostra dimora cosmica si vede allo specchio e diventa consapevole di ciò che è: una biglia blu, “Blue marble”, come viene battezzata la foto. Si tratta di una vera e propria rivoluzione nella nostra visione del mondo, che ora appare dominato non più dalla dimensione terrestre a noi familiare, ma dallo spazio che ci regala una nuova prospettiva da esplorare.
L’esperienza de “Il Cielo itinerante”
Oggi per l’Unione europea la scoperta dell’universo, soprattutto grazie al lavoro dell’Agenzia spaziale europea (Esa) e ai fondi europei disponibili, è già diventata realtà. Alle fotografie che fanno la storia ormai non smettiamo di abituarci: risalgono infatti allo scorso 11 luglio le prime immagini a colori del James Webb Space Telescope, il telescopio più grande e potente mai costruito a cui si lavora da oltre vent’anni.
Insieme agli scatti sono stati resi disponibili i dati spettroscopici che possono essere scaricati e usati a scopo di ricerca. E mentre il mondo intero seguiva questo pezzo di storia sui giornali o sui social, alcuni ragazzi hanno avuto la possibilità di parlarne direttamente con gli scienziati dell’Esa.
L’occasione è stata fornita dal Cielo itinerante, un progetto europeo che ha l’obiettivo di portare il cielo dove non arriva, come dichiara a Linkiesta la presidente e fondatrice Ersilia Vaudo. Astrofisica responsabile del programma equità dell’Esa, nel 2021 Vaudo ha fondato l’associazione con Alessia Mosca, Giovanna Dell’Erba e Giulia Morando con l’obiettivo di avvicinare allo studio delle materie Stem i bambini e le bambine in situazioni di povertà educativa o di disagio sociale, sperimentando metodi formativi innovativi.
«La cultura scientifica e, soprattutto, lo studio della matematica aiuta a sviluppare una società inclusiva. Dopotutto è l’accesso alle opportunità a fare la differenza, e non il contesto socioeconomico da cui si proviene», spiega Vaudo, a cui è venuta l’idea di organizzare questi tour tra le stelle seguendo i viaggi di Susan Murabana.
Siamo a Nairobi, qui Murabana ha fondato insieme al marito “The Travelling Telescope”, un’impresa sociale che dal 2014 si dedica alla promozione della scienza e della tecnologia. La coppia ha costruito un planetario mobile che permette ai bambini di vivere da vicino l’esperienza dello spazio nei villaggi africani.
«Nel nostro Paese, già prima della pandemia, le ragazze e i ragazzi che vivono in contesti fragili avevano in media rendimenti più bassi in matematica e nelle scienze. E gli ultimi due anni – continua Ersilia Vaudo – non hanno che aumentato tali disuguaglianze. Proprio per questo, il pulmino de “Il Cielo itinerante” si fermerà nei luoghi dove è fondamentale investire nell’istruzione dei più piccoli e accendere un riflettore sul loro futuro».
Questo viaggio in tutte le regioni d’Italia consiste in laboratori e osservazioni guidate del cielo con telescopi professionali. Si può per esempio conoscere la vita sulla Stazione spaziale internazionale seguendo i consigli di astronauti che sostengono l’associazione. Tra questi c’è Samantha Cristoforetti che accompagna i ragazzi in orbita attraverso aneddoti, curiosità e lezioni interattive sullo spazio.
Passando poi alla pratica, partecipare ai laboratori significa costruire un proprio razzo o cucinare una cometa, così da avvicinarsi allo studio della fisica e della chimica divertendosi. Ma non è tutto. Quest’anno, infatti, l’Associazione si è posta l’obiettivo di rendere l’Italia il Paese europeo in cui più bambini e bambine hanno visto il cielo. «Abbiamo avviato una collaborazione con Ipsos, che ci offrirà supporto metodologico e analitico per condurre una ricerca sulla percezione della scienza degli adolescenti italiani», conclude Ersilia Vaudo. «Solo con dati alla mano riusciremo a essere incisivi sul coinvolgimento delle nuove generazioni nelle materie Stem. E di conseguenza nella loro inclusione in società».
Avvicinarsi alla scienza attraverso l’arte
L’Istituto nazionale di fisica nucleare (Infn) e il Cern di Ginevra hanno messo a punto un’altra strategia per accorciare le distanze tra giovani e scienza. Con il progetto Art and Science across Italy, finanziato dall’Unione europea e dal Miur, si promuove la cultura Steam tra gli studenti dei licei, coniugando i linguaggi dell’arte e della scienza.
«Si tratta di un progetto vincitore di un bando Erasmus Plus, adatto a tutti e pensato soprattutto per coloro che pensano di non essere all’altezza di discipline come la matematica», racconta a Linkiesta Pierluigi Paolucci, membro Infn di Napoli e fondatore di Art and Science. Questa iniziativa sostenuta da fondi europei inizia tra i banchi di scuola con workshop tenuti da esperti del mondo scientifico e dell’arte, e si conclude con una fase creativa dedicata alla realizzazione di composizioni artistiche ispirate ai temi trattati.
Una giuria internazionale seleziona poi le opere migliori che vengono esposte durante la mostra itinerante I colori della scienza. A questo premio si aggiunge inoltre la possibilità di partecipare a un master sui temi Steam al Cern di Ginevra. «Più della metà degli iscritti ai nostri laboratori sono ragazze e nella maggior parte dei casi sono proprio loro che si aggiudicano la vittoria delle competizioni – continua Pierluigi Paolucci – per noi questo dato è particolarmente interessante, perché ci aiuta a ridurre il gender gap in ambito Steam. Nel tempo abbiamo infatti capito che sono le opportunità a ribaltare le statistiche: è importante lavorare sin dai primi anni della formazione per preparare le ragazze a intraprendere una carriera scientifica».
L’artista dello spazio
E un esempio di come l’arte aiuti la scienza a diventare popolare arriva dalle opere di Enrico Magnani, un tempo ricercatore nella fusione nucleare e oggi artista dello spazio. Nella collezione Supernova ha rappresentato le esplosioni stellari attraverso i principi della fluidodinamica. Magnani condivide proprio con i ragazzi di Art and science la sua tecnica che, attraverso getti di aria e acqua, gli permette di muovere i colori sulle superfici ottenendo un risultato in linea con la nascita stellare. La serie Dark Matter, in mostra anche al Cern, ha però qualcosa in più.
L’ispirazione nasce dalla materia oscura, che oggi rappresenta probabilmente il tema più intrigante sia della fisica delle particelle che dell’astrofisica, visto che ci racconta molte cose sul destino dell’universo. I dipinti di questa installazione si apprezzano al buio: il pubblico in galleria impugna di fatto una torcia a ultravioletti che esalta colori che alla luce non si vedono sfruttando determinate lunghezze d’onda.
Lancio di razzi spaziali: una sfida tutta europea
Per partecipare alla prima competizione universitaria di lancio di razzi in Europa bisogna invece volare in Portogallo, dove si tiene la European Rocketry Challenge (Euroc) promossa dall’Agenzia spaziale portoghese con il sostegno dell’Unione europea.
La sfida è pensata per gli studenti di ingegneria chiamati a progettare, costruire e lanciare i propri veicoli. In un’ottica più ampia, anche in questo caso il concorso mira a incoraggiare gli studenti allo studio delle scienze e allo sviluppo delle competenze tecnologiche. La gara è nata nel 2020 in seguito all’annullamento della Spaceport America Cup, e le sei squadre iscritte durante la prima edizione oggi sono ben venticinque. «È un’ulteriore sforzo per promuovere lo Spazio nella comunità studentesca», afferma Marta Gonçalves, responsabile del settore istruzione dell’Agenzia spaziale portoghese, «tuttavia non basta promuovere questo tipo di iniziative: occorre democratizzare l’accesso allo spazio, perché solo così il nostro ecosistema può andare lontano».
Tra i gruppi coinvolti c’è anche il Bme Aerospace, un team ungherese che in queste settimane sta progettando e assemblando un razzo capace di raggiungere un’altitudine di 9mila metri. L’obiettivo in vista della competizione, che si terrà ad ottobre prossimo in Portogallo, è superare dunque i test di prontezza al volo e al lancio, con i quali il razzo viene dichiarato pronto per il decollo.
«Trascorreremo ben 15mila ore sul nostro progetto per perfezionarlo, eppure non siamo stanchi: l’Euroc ci sta unendo come colleghi e compagni di squadra. Lavoriamo immaginando il momento in cui il razzo si alzerà da terra e condividere quell’istante con altri giovani europei con la nostra stessa passione sarà incredibile», dicono i ragazzi di Bme Aerospace.
E in effetti a lancio completato, ci saranno applausi, urla e abbracci. Non ci si sentirà concorrenti in quell’istante. «Le sconfitte e le vittorie di alcuni, sono di tutti. In scienza funziona così. Per un’emozione del genere vale la pena prendersi il rischio di portare avanti Euroc», afferma Marta Gonçalves.
I concorrenti raccontano che nei secondi che precedono ogni partenza la frenesia è interrotta dal silenzio. Tutti gli occhi sono sulla rampa di lancio e il respiro è sincronizzato con il conto alla rovescia e con la parola magica “accensione”. «Poi comincia ad apparire il fumo bianco: è un buon segno, ma non abbastanza. Devi vedere il razzo decollare per iniziare la festa», concludono gli ingegneri ungheresi.
E forse vale lo stesso per questa nuova era europea nello spazio: i progetti a disposizione dei giovani sono certamente validi, ma ora servirà staccarsi dal suolo per vedere cosa succede.