Se il lavoro dei tuoi sogni non esiste (ancora) sulla Terra è perché potrebbe aspettarti nello spazio. Non solo astronauti, la Space Economy in crescita ha già bisogno di manager, ingegneri, scienziati e avrà un indotto tutto terrestre. L’Italia e l’Europa non possono sottrarsi alla sfida, che vuol dire anche e soprattutto formare le giuste professionalità. Lo Space Economy Evolution Lab della Bocconi è nato per questo, da quest’anno lo dirige l’astrofisica Simonetta Di Pippo. Lunedì 27 giugno, dalle 10.30 alle 13, l’Auditorium Grande di Via Sarfatti 10 a Milano, ospita l’evento annuale Fostering multidisciplinary research for the future of Space. Tra i relatori, il ministro all’Innovazione tecnologica Vittorio Colao, il presidente della Bocconi, Mario Monti, e quello dell’Asi, Giorgio Saccoccia. Il titolo riflette un mantra di Di Pippo, la «cross-fertilizzazione» delle idee e delle competenze. Ne parliamo con lei alla vigilia della conferenza.
Direttrice, qual è bilancio dei primi tre mesi?
Sono ancora più convinta che ci sia bisogno di un approccio nuovo al discorso della Space Economy. Ho l’impressione che si usi questa definizione in modo non omogeneo, in Italia e non solo. Se la definiamo, come fa l’Ocse, «l’insieme delle attività non solo tipicamente spaziali, ma anche l’indotto», stiamo parlando di un settore con un impatto enorme sulla vita di tutti i giorni. In un comparto come questo, in fortissima espansione, contano le competenze verticali, ma bisogna anche avere un quadro complessivo. Sta avvenendo un’iniezione di finanziamenti sia pubblici sia privati, c’è bisogno di una quantità di esperti superiore ai livelli ai quali eravamo abituati. Aumentano i finanziamenti, perché c’è domanda, però abbiamo una penuria di capitale umano. Allora diventa fondamentale formare persone che consentano al mercato prima di stabilizzarsi e poi di espandersi. Ci sono molte opportunità: basta coglierle.
La conferenza di lunedì va nel solco di affiancare la formazione universitaria alla ricerca in laboratorio.
Sarà una giornata improntata, da un lato, a raccontare il presente, le collaborazioni con la Colorado School of Mines e la George Washington University, tra le altre. Ripartiamo da tutto il lavoro fatto da Andrea Sommariva, che purtroppo è scomparso lo scorso anno, per scovare le istituzioni del mondo con le competenze giuste per fare sinergia di eccellenze. Poi ci sarà una parte sul futuro, con MIT, NYU Abu Dhabi e Kevin O’Connel, l’ex capo dell’Ufficio Spazio al Dipartimento del Commercio degli Stati Uniti. Parleranno i ceo delle società con cui abbiamo accordi o stiamo per siglarne, che oggi sono partner industriali consolidati.
Quali sono le principali sfide per il futuro del comparto?
In Italia abbiamo competenze indiscusse, vanno sfruttate. Senza dubbio nelle infrastrutture in orbita bassa. Ricordiamo che abbiamo costruito noi il 50% del volume pressurizzato della parte non russa della Stazione spaziale internazionale. Guardiamo con attenzione anche alle stazioni spaziali private, che si affacciano soprattutto sullo scenario americano, mantenendo la forte partecipazione all’Esa, da sempre parte dell’anima dell’Italia. La strategia del Pnrr si focalizzerà sull’osservazione della Terra, con una nuova costellazione per cercare di dare supporto alle applicazioni e ai servizi.
Può spiegarci come contribuiscono i satelliti alla nostra vita di tutti i giorni?
Lo spazio ha un valore indiscusso per il monitoraggio delle variabili essenziali del cambiamento climatico. L’Organizzazione meteorologica mondiale ne ha individuate 54 e più della metà possono essere osservate in modo preciso e continuativo soltanto dallo spazio. È indispensabile per capire meglio cosa sta succedendo e mettere in campo azioni di adattamento e mitigazione. Può essere un volano per tecnologie green, pensiamo al precision farming per ridurre la quantità di acqua e fertilizzanti. L’agricoltura vale circa il 25% delle emissioni totali di gas serra. C’è un legame fortissimo tra ciò che si può fare nello spazio e la sostenibilità sulla Terra, ma consideriamo anche la sostenibilità in orbita. Servono asset sicuri, dobbiamo prevedere potenziali collisioni sia con detriti che con altri satelliti, con una gestione del traffico spaziale a livello globale. La Luna sarà il prossimo passo, come banco di prova della diplomazia spaziale. Si andrà sempre di più a vivere e lavorare nello spazio.
Lo spazio creerà più occupazione della Terra nei prossimi anni?
Non vedo perché dovrebbe esserci una flessione, penso che il settore andrà in controtendenza. Sa quanti satelliti utilizza ogni giorno ognuno di noi? Senza lo spazio, in realtà, non potremmo vivere, forse nemmeno ritirare i soldi al bancomat. È indispensabile parlare sempre di più al pubblico di quanto è importante lo spazio. È un vantaggio per i cittadini. Quando mi chiedono perché usiamo i soldi per fare satelliti invece che costruire ospedali, rispondo sempre che possiamo costruire ospedali usando i satelliti. Nella mia vita passata alle Nazioni unite (dove Di Pippo ha diretto l’Ufficio per gli affari dello spazio extra-atmosferico, ndr.) abbiamo osservato grazie alle immagini satellitari in alta definizione i progressi nella costruzione di ospedali o edifici in aree difficili per la sicurezza, oppure monitorato impianti fotovoltaici in zone remote. Per i dati metereologici, che sfogliamo sul nostro smartphone per sapere le temperature o se pioverà, serve una mole impressionante di satelliti e algoritmi.
Lo spazio è stato a lungo un esempio di dialogo internazionale, l’invasione russa dell’Ucraina ha archiviato questa stagione?
Resto una fautrice convinta della diplomazia e di quella che chiamo “diplomazia preventiva”. Essere trasparenti, collaborare, è determinante per creare una credibilità reciproca, che è poi la base per una cooperazione. All’Onu avevamo progetto per federare i provider di Sistemi satellitare globali di navigazione: il Gps americano, l’europeo Galileo, il Glonass russo e il cinese BeiDou. Ogni paese gestisce la sua costellazione, non c’è nessun impatto sull’interesse nazionale, ma l’interoperabilità migliora il servizio. La precisione è più elevata se si mettono insieme satelliti e ricevitori su ogni punto della superficie terrestre. Il dato, poi, è gratuito: se un Paese in Africa ha competenze per poterlo usare, può migliorare i suoi servizi. Per la Luna – obiettivo comune di cinesi, russi e americani – e il coordinamento del traffico spaziale servirebbe più diplomazia preventiva. Così lo spazio potrà continuare a essere un modello per i rapporti sulla Terra.
A proposito di rapporti tra potenze, sembra che in questa nuova corsa allo spazio la Cina vada molto più veloce di noi.
È così. Ha una strategia molto chiara e un capitale umano di primissimo livello. Continuo a dirlo da 15 anni in Europa: dobbiamo imparare ad andare e tornare dallo spazio, cosa che al momento non facciamo, e dobbiamo imparare ad atterrare. Tecnologie come queste consentiranno un’esplorazione sistematica. La vera cooperazione sta nell’autonomia. Due partner lavorano meglio assieme se c’è competenza in tutti e due: non necessariamente la stessa, anzi, meglio se complementare, altrimenti sono sbilanciati. Vale anche per i Paesi emergenti e in via di sviluppo, è fondamentale che nell’accesso allo spazio sviluppino una piccola nicchia di competenza e formino più studenti nelle materie Stem, che aiutano il progresso e l’innovazione. Su alcune strategie, in Europa dovremmo essere più moderni.
Per coinvolgere le nuove generazioni, esempi come quello di Samantha Cristoforetti sembrano imbattibili.
Sta facendo un lavoro di comunicazione egregio perché raggiunge la fetta di popolazione dei giovani, ed è in quel gruppo che ci saranno i leader del futuro. Li avvicina al concetto che c’è un futuro che loro più di noi avranno la possibilità di plasmare. Sulla questione del bilanciamento di genere nel settore aerospaziale e non solo, Samantha è un ottimo modello. Una missione spaziale è un sottoinsieme di quello che succede nella società: le cose accadono perché dietro un solo individuo ci sono centinaia di ingegneri, scienziati e manager distribuiti in vari paesi. Samantha è una persona eccezionale e ci ricorda che è dalla collaborazione che viene fuori un grande risultato. Il messaggio è: “Non chiedere cosa gli altri possono fare per te, ma cosa puoi fare tu per gli altri”.