Fino a pochi anni fa, le tappe del mondiale di Formula 1 disputate negli Stati Uniti erano vissute in maniera profondamente diversa rispetto a quelle europee. Si trattava di week-end più tranquilli del solito sia per i dirigenti che per i piloti: meno sponsor e meno fan da intrattenere tra il venerdì di prove libere, il sabato di qualifiche e la gara della domenica.
Da quando Netflix ha rilasciato la prima stagione della serie Drive to Survive nel marzo 2019, le cose sono cambiate. Prima di quel momento, la Formula 1 negli States era uno sport di nicchia, con un pubblico devoto ma limitato: l’audience sul canale sportivo Espn registrava circa mezzo milione di spettatori per gara, a fronte di quasi quattro milioni per la Nascar e di oltre cinque milioni per la 500 miglia di Indianapolis. Ogni anno si disputava un solo Gran Premio d’America, ad Austin, in Texas, ma l’interesse generale nel corso dell’ultimo decennio era in costante calo.
Dopo l’exploit della serie prodotta dal colosso californiano, nell’arco di tre anni, gli ascolti di Espn sono quasi raddoppiati. Non solo. L’affluenza totale registrata per il week-end di ottobre 2021 ad Austin è stata tra le maggiori nella storia del motorsport: 400mila fan in tre giorni, di cui 140mila per la gara domenicale. Quest’anno Miami è stata aggiunta al palinsesto come seconda tappa americana e nel 2023 ce ne sarà una terza, a Las Vegas (New York e altre città chiedono a gran voce una gara tutta loro). Incredibile, considerato anche che nessun altro Paese al mondo può vantare più di due Gran Premi entro i propri confini.
Come se non bastasse, lo scorso giugno Espn ha sottoscritto un accordo che oscilla tra i 75 e i 90 milioni di dollari all’anno per i diritti televisivi negli Stati Uniti (a lungo la cifra è stata di 5 milioni). Chiunque, dai cronisti di vecchia data agli appassionati dell’ultima ora, riconduce il merito di questo successo alla serie prodotta da Netflix. Nonostante la piattaforma di streaming sia notoriamente riservata per quanto riguarda i suoi dati di ascolto, secondo l’organizzazione ufficiale della Formula 1 la quarta stagione di Drive to Survive è diventata la produzione Netflix più vista in 33 Paesi – compresi gli Stati Uniti – e, stando a diversi sondaggi, più di un terzo degli spettatori di Austin 2021 ha citato la serie come motivo della propria partecipazione all’evento.
Ma qual è il segreto del successo di Drive to Survive? Lo show struttura i suoi episodi intorno a trame emotive e mette sotto i riflettori le vicende (e le contraddizioni) legate alla competitività tra i piloti e tra i team manager delle scuderie. Il boom, a ogni modo, è arrivato grazie all’abbuffata di spettatori affamati di competizione durante la prima ondata pandemica, occasione in cui la Formula 1 si è definitivamente imposta nel mercato di massa non solo oltreoceano, ma anche in Europa.
Quest’anno, dopo il rilascio della quarta stagione, nel giro di pochi giorni gli spettatori hanno fatto registrare 28 milioni di ore di visione della nuova serie. Nel giro di una settimana Drive to Survive è diventata una delle dieci serie televisive più viste della piattaforma in 50 Paesi, molti dei quali europei, come Regno Unito e Ucraina. Dati che testimoniano un nuovo interesse emergente non solo dal punto di vista geografico, ma anche anagrafico: se negli ultimi vent’anni la Formula 1 non era stata in grado di far appassionare le nuove generazioni europee, Netflix ha contribuito in maniera decisiva a questo ampliamento del pubblico (in Italia il calo era arrivato soprattutto dopo la conclusione dell’epoca d’oro dell’accoppiata Ferrari-Schumacher, a metà anni Duemila).
Se però nel vecchio continente abbiamo assistito a una sorta di reviviscenza, sul fronte americano si è trattata di una vera e propria rottura con il passato. Per decenni, infatti, il campionato di motori più avanguardistico al mondo ha lottato duramente per affermarsi sul mercato a stelle e strisce. Dalla sua nascita, nel 1950, nella maggior parte degli anni si è disputato almeno un Gran Premio degli Stati Uniti e occasionalmente ce ne sono stati due. Dal 1961 al 1980 si è tenuta una tappa del mondiale in una pista fuori dal borgo di Watkins Glen, nello Stato di New York. Eppure, questo sport è stato trattato come qualcosa di più di uno spocchioso hobby europeo di importanza secondaria solo durante una breve parentesi negli anni Settanta, quando il pilota americano Mario Andretti passò dalle corse Indy (competizione statunitense su piste ovali) alla Formula 1, diventandone il campione mondiale.
Le cose hanno iniziato a cambiare nel gennaio 2017, quando la compagnia Liberty Media di John C. Malone (sede in Colorado) ha pagato 4,6 miliardi di dollari per acquistare i diritti televisivi della F1 (fino ad allora sotto l’egida dell’eccentrico ex pilota britannico Bernie Ecclestone), intravedendo un’occasione d’oro. Così è partito un effetto domino: come erede di Ecclestone, Malone ha assunto Chase Carey, un dirigente televisivo. Nel corso di una lunga carriera, Carey aveva contribuito all’acquisizione dei diritti della Nfl per la Fox e aveva gestito Fox Sports stessa. Per amministrare il lato commerciale della proprietà, Carey a sua volta ha puntato su Sean Bratches, ex vicepresidente esecutivo di Espn. A questo punto, Bratches si è messo in contatto con un ex collega, tal Erik Barmack, diventato nel frattempo un pezzo grosso di Netflix, parlandogli dell’idea di una serie dedicata alla Formula 1. Se voilà. Dettaglio curioso: per loro stessa ammissione, né Carey né Bratches avevano mai visto un Gran Premio fino a quel momento.
Naturalmente, la crescita dell’interesse globale ha avuto un notevole effetto positivo sul marketing legato alla Formula 1. Ha attirato nuovi sponsor – come Oracle, che ora è partner di Red Bull – e per l’ambiente è stata come manna dal cielo: non a caso, dopo aver assicurato alle squadre che avrebbe discusso con Netflix i toni della narrazione di Drive to Survive (la serie ha sollevato qualche polemica per l’eccessiva spettacolarizzazione in alcuni frangenti), l’amministratore delegato di Formula One Group, Stefano Domenicali, ha firmato per la realizzazione della quinta e della sesta stagione.
Restano però delle incognite. Non è chiaro quanto coloro che si sono avvicinati alla Formula 1 grazie a questa nuova ondata siano effettivamente interessati allo sport in sé.