Il dubbio sopra BerlinoFallito il modello Merkel, la Germania non ha una nuova visione

Ormai il pluridecennale modello tedesco basato su bassi costi energetici e ipertrofico export non funziona più. Il Cancelliere Scholz non ha individuato mercati alternativi per sopperire al calo delle esportazioni in Russia e in Cina. Ed è costretta a rincorrere l’emergenza con provvedimenti tampone. Questa incertezza rischia di avere un impatto negativo sull’Europa e sull’Italia

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È ormai patrimonio comune in Germania un giudizio durissimo sulle politiche di Angela Merkel, rivelatesi disastrose a partire dalla sua fiducia strategica nei commerci e nelle buone relazioni con la Russia di Vladimir Putin e con la Cina di Xi Jinping, per finire con una miope politica energetica largamente dipendente dalla Russia che oggi ha conseguenze micidiali sulla economia tedesca. È contemporaneamente anche diffusa una radicale diffidenza nella leadership del nuovo Cancelliere Olaf Scholz che appare scialba, indecisa e persino ipocrita quanto a una Ucraina alla quale gli armamenti tedeschi vengono forniti col contagocce. 

In realtà però Olaf Scholz paga il prezzo politico di un vuoto strategico che non è non solo suo, ma che riguarda tutto il sistema Germania, in tutte le sue componenti e che è ingiusto attribuire solo alla sua leadership. Il fatto è che è che, fallito il pluridecennale modello tedesco basato su bassi costi energetici e ipertrofico export (in violazione aperta ma mai sanzionata dei parametri di Maastricht), la Germania brancola nel buio. Non ha un modello economico alternativo. Addirittura non ha neanche un rigassificatore per aprire nuove linee di rifornimento di metano dal Golfo o dall’Africa. Men che meno non ha mercati alternativi per sopperire al calo delle esportazioni in Russia e in Cina. È costretta a rincorrere l’emergenza con provvedimenti tampone. Non ha una nuova visione.

Un quadro sconcertante che porta a un enorme impatto negativo sull’Europa e sull’Italia. In questo contesto l’allarme è diffuso e Clemens Fuest, presidente dell’Ifo che monitorizza le aspettative per il futuro di 9.000 aziende tedesche, lo ha così sintetizzato: «La Germania è alle soglie della recessione». La ragione di tanto pessimismo è presto detta: nel secondo trimestre del 2022 il Pil tedesco è stato stagnante rispetto al primo trimestre  (in Italia invece è aumentato dell’1%) e secondo il FMI, su base annua si incrementerà solo dell’1,2%, contro il 3,4% dell’Italia. Le ragioni della stasi economica di quella che è stata per sessanta anni la locomotiva d’Europa sono note: la crisi di approvvigionamento di metano conseguente all’invasione russa dell’Ucraina, le difficoltà nei rifornimenti di componentistica, non solo per il settore automobilistico, e la diminuzione dell’export tedesco in Russia (e Cina). Tutti elementi non congiunturali, ma ormai strutturali.

Il risultato di queste interazioni è stato efficacemente sintetizzato da Robert Hoeck, ministro Verde dell’Economia e dell’Ambiente che ha liquidato la fine di un sistema economico tedesco basato sull’importazione di energia a basso costo: «Il nostro modello energetico è fallito e non tornerà più». 

Per suggellare questa affermazione Hoeck ha annunciato una nuova tassa di 2,4 centesimi per Kilowattora a carico dei consumatori i cui proventi serviranno a non fare fallire le aziende tedesche di distribuzione del metano i cui bilanci sono devastati. Una crisi che rischia di innescare un effetto Lehman Brothers sull’economia tedesca e che ha spinto il governo tedesco al salvataggio di Uniper, la principale importatrice di metano russo, con l’acquisto del 30% delle azioni e con un prestito di 7,7 miliardi di euro in azioni convertibili più una estensione sino a 9 miliardi di euro della linea di credito del gruppo con la banca statale Kfw.

Dunque, il governo tedesco ha deciso di percorrere la strada impopolare di riversare i costi della crisi dei grandi gruppi di distribuzione dell’energia sui consumatori e sulla fiscalità generale, con un incremento ulteriore dell’inflazione che è già all’8,9%. Non stupisce in questo quadro che ben il 66% dei tedeschi sia favorevole alla apertura del metanodotto North Stream 2 e quindi di fatto alla fine delle sanzioni contro la Russia. Un segnale politico pericoloso.

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