Ciao, mi chiamo Guia e tanto per cambiare comincerò con una divagazione: non guardo gli snuff movie, quei filmati pornografici illegali in cui stupri e ammazzi qualcuna davanti alla macchina da presa per il diletto dei sadici. Ciao, mi chiamo Guia e non scriverò del video dello stupro di Piacenza, quel video messo on line per il diletto dei moralisti, che così possono indignarsi perché il video è on line, possono indignarsi dopo averlo guardato.
Non ne scriverò perché a quanto pare sono l’unica italiana che scriva sui giornali alla quale non passi per l’anticamera del cervello di guardarlo. Tra le acrobazie dialettiche che ho visto, da parte dei pervertiti della morale scatenati in questi giorni, una menzione d’onore va a: maledetti, mi avete costretto a guardarlo per segnalarlo. Perché se non lo segnalavi tu non c’era abbastanza indignazione in merito, perché tu sei al centro della notizia, tu, tu, tu.
Tragicamente carente sul tema della pornografia del dolore e di chi se ne fa dosi massicce, vorrei ripiegare su una scemenza minore, nell’àmbito della campagna elettorale più imbarazzante che si ricordi (e la prossima sarà peggio: ormai ci sono i social, dal precipizio del commento istantaneo e dell’implacabile imbarazzo non si risale). E dunque: devianze.
Catalogo incompleto dell’ennesimo disastro comunicativo di destra che magicamente diventa un disastro comunicativo di sinistra. Giorgia Meloni fa un video in cui dice che punta sullo sport per combattere le devianze: se vi fate fare la giustifica per saltare l’ora di ginnastica diventate alcolizzati, come peraltro la mia vita (mia di Soncini, no mia di Meloni) plasticamente dimostra; poiché il video dura un minuto e 53 secondi, decisamente troppo per la soglia d’attenzione dei polemisti dell’internet, la sintesi diventa: Meloni ce l’ha con le devianze, Meloni vuole impedirci d’essere culattoni; a quel punto Enrico Letta, che mai mai mai si fa dettare i temi da Meloni (egemone come solo Silvio lo fu prima di lei), e sempre sempre sempre se ne esce con risposte molto efficaci, twitta: Viva le devianze. Non la figa o la pappa col pomodoro: le devianze. (Lui l’ha scritto col cancelletto, ma non ho cuore d’infierire).
Seconda parte della divagazione: ma com’è che – nella campagna elettorale più pazza del mondo – quando la destra fa (forse) una cazzata, la sinistra corre a raddoppiarla? Quando Giorgia Meloni rilancia lo snuff movie pubblicato dal sito d’un giornale, Carlo Calenda va in tv a dirle che deve vergognarsi (e già vale la regola di Antonio Ricci: «vergogna» può dirlo solo il Gabibbo, che è un pupazzo), e poi aggiunge che «abbiamo entrambi delle figlie» e insomma vorremmo proteggerle, se le stuprassero, dalla diffusione delle immagini. Carlo Calenda ha 49 anni, Giorgia Meloni ne ha 45, la vittima del reato in oggetto ne ha 55. Fine divagazione sul paternalismo elettorale e l’infantilizzazione delle vittime, torniamo al momento in cui Letta cancelletta «Viva le devianze».
A quel punto l’elettorato razionale è perlopiù morto d’imbarazzo, i pochissimi sopravvissuti chiedono rantolando dove stia lo scandalo nel fatto che una di destra abbia come orizzonte di equilibrio sociale amore e ginnastica, i giornalisti sportivi che da decenni campano della mistica dello sport come riscatto sociale si fingono morti terrorizzati d’essere presi per meloniani. Enrico Letta è quindi solo col suo cancelletto? Macché. La militanza dell’internet ti soccorre sempre, quando una causa è proprio persa.
Intellettuali senza senso del ridicolo (un ossimoro se mai ce n’è stato uno) si precipitano a rivendicare che, delle dieci devianze elencate da Meloni nella sua card (abbiamo già detto che la soglia d’attenzione dell’elettorato sono ormai le tre righe d’una card?), loro ne hanno sette. Sette? Cioè sei sia anoressica sia bulimica sia facente parte d’una baby gang? Accipicchia, forse invece di commentare la campagna elettorale dovresti chiuderti in una clinica psichiatrica.
Il giorno dopo – ieri – arrivano i giornali, a far scrivere i difensori delle devianze, a intervistare quelli fieri d’essere grassi. «Il tossico o l’alcolista non è razionalmente categorizzabile con chi abbia un disturbo alimentare», leggo. Ah no? In Intolerant (è su Netflix), Jim Jefferies dice che viene da una famiglia di obesi, si tiene in forma solo perché deve salire su un palco e sennò poi gli danno del ciccione (il body shaming ha una sua utilità, Giorgia potrebbe farci una card, chissà poi come le risponde Letta), ha visto sua madre ammazzarsi di cibo, e non capisce perché si possa insultare, svergognare, umiliare qualunque dipendenza ma non quella da cibo: a nessuno viene in mente di dire a un cocainomane o a un fumatore «sei bello così come sei, sii te stesso».
Sempre su Netflix, in Live at Red Rocks, Bill Burr dice che l’hanno inventata le mediocri, la body positivity (l’ideologia del sii te stessa e sei bella così come sei, grazie alla quale parliamo solo e ossessivamente di corpi e di quanto pesa la gente, mai per dirle di mettersi a dieta ma comunque dieci volte quanto ne parlavamo prima, quando il mondo era autorizzato a pensare che noi culone dovessimo dimagrire). Se una mediamente cessa convince le aziende che nelle pubblicità sia bene mettere le deformi e le obese, non le toccherà più vedere delle bellone. Forse ha ragione Chris Rock: i comici sono i nuovi filosofi, alla prossima polemica chiamate loro a scrivere sui giornali (ma pure a fare i tweet di sinistra).
Me la vedo, una risposta sulle devianze concepita da qualcuno col senso del ridicolo: Keith Richards camperà più a lungo di noi, come fate a dire che la droga faccia peggio dello sport? Mica la natura è equa. «Sono un alcolizzato, sono un ex fumatore, e sono stato un consumatore di cocaina; e ho una pelle splendida» (sempre Jim Jefferies).
Terza e ultima divagazione. Tutti i giornalisti presentabili hanno polemizzato a proposito del video della stuprata e della sua irricevibilità. Tutti i politici presentabili hanno polemizzato a proposito del video della stuprata e della sua irricevibilità. Tutti gli italiani presentabili hanno polemizzato a proposito del video della stuprata e della sua irricevibilità, tutti prendendosela con Giorgia Meloni. Che però il video non l’ha ricevuto in omaggio da un elettore: l’ha preso dal sito d’un quotidiano, cui nessuno ha detto di vergognarsi per averlo pubblicato.
Quando c’è da prendersela con l’impresentabile hanno tutti la schiena drittissima, poi si distraggono quando ci sarebbe da parlare dell’etica dell’informazione, metti che in campagna elettorale quel quotidiano m’intervista, metti che un domani mi fa un contrattino, ma soprattutto metti che si redime davvero e non mi pubblica più i video che corro a guardare in privato per scandalizzarmene in pubblico.