Fra le questioni costituzionali che peseranno fin dall’inizio della prossima legislatura italiana ci sarà il rapporto che si instaurerà tra il Capo dello Stato e il nuovo governo. Al di là delle indicazioni che verranno dai partiti o dalle coalizioni dei partiti, spetta al Capo dello Stato (art. 92 COST) scegliere la personalità che avrà le maggiori possibilità di ottenere il voto di fiducia della Camera e del Senato sapendo che la carica di presidente del Consiglio non è elettiva, che la costituzione italiana mette al centro della democrazia il ruolo del Parlamento e che nella storia della Repubblica e soprattutto della cosiddetta Prima Repubblica sono stati rari i presidenti del Consiglio il cui nome sia stato indicato durante la campagna elettorale dal partito che avrebbe conquistato la maggioranza relativa dei voti delle elettrici e degli elettori.
Nonostante i molteplici sondaggi la possibilità che la leader del partito Fratelli d’Italia, Giorgia Meloni, sia scelta dal Capo dello Stato per formare il nuovo governo è ancora ipotetica sia perché non c’è un accordo politico solido fra i partner della coalizione di centro destra sia perché non è certo che questa coalizione ottenga la maggioranza assoluta in tutti e due i rami del Parlamento.
Tutto ciò avverrà ben prima della molto eventuale riforma della costituzione che alcuni da tempo vorrebbero proporre per introdurre un ancora indefinito semipresidenzialismo o un sistema presidenziale con l’elezione diretta del presidente della Repubblica, una riforma che richiede comunque lunghi tempi di attuazione e che potrebbe coprire l’intera legislatura.
Nell’Unione Europea (Ue) l’istituzione che si identifica nel capo dello Stato assume forme e contenuti molto diversi e l’idea presidenzialista nel nostro paese è stata avanzata con l’obiettivo apparente di garantire maggiore stabilità al sistema politico italiano e – affermano i fautori del presidenzialismo o del semipresidenzialismo – per rafforzare il potere di decisione degli elettori ignorando la necessità di accompagnarla con una revisione del sistema elettorale, dei poteri del capo del governo e del ruolo delle Camere.
Nell’Ue ci sono sette capi di Stato eletti dai cittadini con due sistemi presidenziali senza capo del governo (Cipro e Lituania), due sistemi semipresidenziali con il capo del governo (Francia e Romania)., e tre sistemi di falso presidenzialismo (Austria, Finlandia e Portogallo) dove i poteri del Capo dello Stato sono molto simili a quelli dei presidenti della Repubblica eletti a suffragio indiretto dai parlamenti o da corpi elettorali scelti ad hoc. come in Italia, Germania, Grecia, Malta, Irlanda, Estonia, Slovenia, Croazia, Bulgaria, Polonia, Ungheria, Repubblica Ceca, Slovacchia, Lettonia escludendo i sistemi monarchici in Belgio, Lussemburgo, Paesi Bassi, Spagna, Danimarca, Svezia.
Nonostante la mancanza del presidenzialismo o del semipresidenzialismo in Italia, negli ultimi ventitré anni e cioè dalla presidenza di Carlo Azeglio Ciampi (1999) e con maggiore determinazione con Giorgio Napolitano (2006) e con Sergio Mattarella (2014) il Capo dello Stato è stato ed è un’istituzione essenziale per la politica europea dell’Italia e per i rapporti dell’Italia con l’Ue nel costante rispetto della costituzione.
L’idea di modificare le modalità di elezione del Capo dello Stato e i suoi poteri non può essere separata da una riforma più ampia del sistema istituzionale e dunque del rapporto con il governo e il Parlamento ma deve essere letta insieme agli orientamenti europei della alleanza di centro destra e in particolar modo di Fratelli d’Italia e della Lega nei rapporti con l’Ue a cominciare dalla richiesta di applicare la recente e illegittima decisione polacca di rivendicare il primato del diritto nazionale su quello europeo.
Vorremmo qui ricordare gli incontri non formali ma sostanziali fra il Capo dello Stato e il governo italiano alla vigilia di ogni riunione del Consiglio europeo introdotti da Giorgio Napolitano e continuati da Sergio Mattarella, i dialoghi fra capi di Stato con ruoli non esecutivi avviati durante la presidenza Ciampi e proseguiti con Napolitano e Mattarella, l’ampio (ed eccessivo) potere che si è auto-attribuito il Consiglio europeo con il Trattato di Lisbona riducendo a un ruolo formale quello dei ministri degli esteri sulle questioni europee evidenziato dal fatto che i membri del Consiglio europeo sono normalmente accompagnati dal ministro o dal sottosegretario agli affari europei.
Riteniamo essenziale nel dibattito sul presidenzialismo o sul semipresidenzialismo che questi precedenti siano seriamente esaminati e facciano parte determinante delle decisioni che dovranno essere prese assumendo una posizione coerente fra l’idea della democrazia a livello nazionale e quella della democrazia a livello europeo.
Non si può contrastare l’idea dell’elezione diretta del Capo dello Stato a livello nazionale in una versione presidenziale o semipresidenziale e sostenere contemporaneamente l’idea dell’elezione diretta del presidente dell’Ue nella funzione di Presidente del Consiglio europeo o di presidente della Commissione o di un’unione personale fra le due presidenze difendendo invece nell’Ue il rapporto di fiducia e di controllo politico fra il Parlamento europeo e il governo, che dovrà essere federale, all’interno di un sistema in cui il Consiglio europeo – come capo della Stato collettivo – sceglierà dopo le elezioni europee una personalità capace di riunire una maggioranza multipla fra le forze politiche europee e che presieda nello stesso tempo il Vertice dei capi di Stato o di governo e la Commissione europea.
L’ostacolo principale del passaggio dal potere di veto alle decisioni a maggioranza qualificata nella politica estera e della sicurezza nell’Ue e dunque la capacità dell’Ue di svolgere il ruolo di attore internazionale risiede nel fatto che i sistemi presidenziali o semipresidenziali nei paesi membri dell’Ue attribuiscono ai presidenti il dominio riservato nelle relazioni esterne e che dunque – per citare l’esempio più rilevante – la Francia non potrà mai accettare di essere messa in minoranza all’interno del Consiglio europeo su decisioni legate alle questioni internazionali a meno che queste decisioni non siano delegate a un governo sovranazionale.
Nella dimensione del pluralismo europeo e di un’unione di stati e di cittadini appare necessario difendere il ruolo prioritario della democrazia rappresentativa e dunque la centralità del Parlamento sia in Italia che nell’Ue arricchendola con forme innovative di democrazia partecipativa (i referendum, il diritto di iniziativa legislativa dei cittadini che si rivolge al Parlamento europeo e non alla Commissione e la consultazione permanente come è avvenuto nella Conferenza sul futuro dell’Europa) e di democrazia di prossimità (con il ruolo delle città che è stato invece ignorato dal Trattato di Lisbona).
In coerenza con questa posizione deve essere sostenuto il potere costituente del Parlamento europeo e il potere deliberativo delle cittadine e dei cittadini attraverso un referendum paneuropeo confermativo, poteri necessari per contro-bilanciare la presenza eccessiva dei governi nazionali («il federalismo degli esecutivi» secondo l’espressione di Habermas) che si considerano i «padroni dei trattati» e i detentori del controllo della ripartizione delle competenze fra l’Ue e gli Stati membri (Kompetenz Kompetenz secondo la formula tedesca).
La rivendicazione in Italia del primato degli interessi nazionali su quelli europei, che rischia di trovare una eco maggioritaria nel prossimo parlamento eletto il 25 settembre, dovrà essere compensata e contro-bilanciata dalla continuità del ruolo svolto dal Quirinale durante le presidenze Ciampi, Napolitano e Mattarella nei rapporti fra il nostro paese e l’Ue evitando di chiudere il Capo dello Stato nel recinto angusto di una maggioranza parlamentare ma difendendo il suo ruolo di garante della Costituzione che è stata aggiornata e adeguata all’evoluzione del processo di integrazione europea.
Ci aspettiamo che, durante la campagna elettorale, queste questioni vengano chiarite nel mandato al Parlamento che sarà eletto il 25 settembre e che facciano parte delle priorità che le forze politiche italiane metteranno sul tavolo dei partiti europei in vista delle elezioni europee nel maggio 2024.