Quando ci fu il caso Savoini, molti analisti si dissero certi che ci fossero dietro i Servizi russi, per il fatto che l’Hotel Metropol è notoriamente sotto stretto controllo del Fsb. Il dubbio era semmai un altro. Un regolamento di conti nei Servizi russi stessi? O non un piuttosto «avvertimento» a Salvini, che in quel momento si stava avvicinando a Donald Trump, e aveva anche proposto al Cremlino di fare una «prima mossa» in Ucraina?
Quando Luigi Di Maio, da ministro degli Esteri ancora nei Cinquestelle, si schierò con l’Ucraina dopo l’aggressione russa, su chat e Telegram apparvero minacce del tipo «Putin manda qualcuno ad ammazzarlo»: «Di Maio con una spranga nel cervello»; «ti faranno fuori». E si sa che a San Pietroburgo il Cremlino mantiene una fabbrica dei troll che spesso monta campagne anche in Italia. Ad esempio, quando chiese l’impeachment di Sergio Mattarella.
Precedenti da tener presente, quando su Telegram l’ex presidente della Federazione russa e attuale vicepresidente del consiglio di sicurezza nazionale Dmitrij Medvedev scrive che alle urne «vorremmo vedere i cittadini europei non solo esprimere il malcontento per le azioni dei loro governi, ma anche dire qualcosa di più coerente. Ad esempio, che li chiamino a rendere conto, punendoli per la loro evidente stupidità».
Una battuta di un personaggio che conta sempre di meno, e che per di più da un po’ di tempo quando esterna sembra farlo in condizioni di ebrezza etilica? Oppure, un altro avvertimento? Di Maio, che ormai dai Cinquestelle è uscito proprio per la rottura di Conte sulla questione ucraina, è stato netto sulla «ingerenza preoccupante del governo russo nelle elezioni italiane». Il Partito Democratico, pur lontano erede di un partito che in ere politiche remote era finanziato dall’Urss, ha chiesto ai partiti del centrodestra di prendere le distanze da Medvedev. Salvini, in effetti, non lo ha fatto: «Non mi interessano gli insulti del Pd. Voteranno gli italiani e non russi, cinesi ed eschimesi. All’estero possono dire quello che vogliono ma non mi interessa fare polemica col resto del mondo».
Va detto che in questo momento l’approccio di Salvini è isolato. Per Forza Italia la presidente della Commissione Esteri del Senato Stefania Craxi, dopo aver ricordato che Medvedev è «un signore che ci sta poco con la testa» il cui problema è piuttosto «di ordine politico o sanitario», ha riconosciuto che «sicuramente da anni la Russia ha messo in pratica in Italia e in tutta Europa un forte sistema di disinformazione e di ingerenze». Pur aggiungendo che «in questi 30 anni tutti hanno provato a instaurare un dialogo euro-russo con Vladimir Putin. Ricordo Romano Prodi quando era presidente della Commissione. Silvio Berlusconi a Pratica di Mare. Ci ha provato anche Angela Merkel. Abbiamo tutti sbagliato. Vuole che glielo dica? È stata un’illusione, ci siamo cascati».
Per Fratelli d’Italia, è il presidente del Copasir Adolfo Urso a parlare di «punta dell’iceberg» di un sistema «di ingerenze straniere nelle democrazie occidentali». Mentre Conte parla di intromissione «inopportuna e pericolosa». Lo stesso Conte, però, ha provocato una crisi di governo che ha oggettivamente fatto comodo al Cremlino. Fratelli d’Italia ha in questo momento una linea atlantica senza tentennamenti, ma secondo un suo stile tipico Giorgia Meloni ha cancellato i post su Facebook in cui ancora il 18 marzo 2018 faceva i «complimenti a Vladimir Putin per la sua quarta elezione a presidente della Federazione russa. La volontà del popolo in queste elezioni russe appare inequivocabile».
Quanto a Forza Italia, è stata l’invasione dell’Ucraina a far saltare una lectio magistralis di Putin che era stata organizzata dall’Universitas Libertatis di Berlusconi. «Putin non l’ho sentito di recente. Eravamo molto amici, ho fatto due telefonate all’inizio di questa operazione e non ho avuto risposte» ha spiegato lo stesso Berlusconi. «Dopo questo mi sono astenuto da ulteriori tentativi». Ha però aspettato aprile per condannare espressamente la guerra. Ha pure spiegato che se lo avessero eletto presidente sarebbe potuto «andare a ripetere con Putin» quanto fatto nel 2008. «Lo tenni al telefono cinque ore e gli dissi “sappi che se domani mattina invadi la Georgia divorzi dall’Unione Europea, dalla Nato e dagli Usa”».
C’è in teoria una differenza tra l’approccio di Berlusconi e quello di Salvini. La Lega ha infatti con Putin un rapporto tra partito e partito, da quando il 6 marzo del 2017 Salvini ha firmato a Mosca un patto di cooperazione con Russia Unita, il partito del dittatore. Quell’accordo scadeva il 6 marzo 2022, ma in mancanza di comunicazione è stato rinnovato automaticamente fino al 6 marzo 2027. Forza Italia sta invece nel Ppe e i pur chiassosi rapporti di amicizia intrattenuti tra Berlusconi e Putin sono nati in incontri tra di loro come uomini di Stato, e non come rapporti tra forze politica. Un atlantista indubbio come Antonio Martino spiegava nelle interviste che il loro obiettivo era stato quello di tirare la Russia dalla parte dell’Occidente, piuttosto che fare la fronda alla Nato.
Però Forza Italia assieme alla Lega ha promosso il voto con cui Veneto, Lombardia e Liguria riconobbero l’annessione della Crimea alla Russia, anche se poi dopo lo scoppio di questa guerra la decisione è stata annullata. E nel 2014 quattro esponenti di Forza Italia si recarono nel Donbass come osservatori alle elezioni della repubblica separatista di Donetsk, attestando che era stato «tutto regolare». Tra di loro anche Lucio Malan, ora passato con Fratelli d’Italia.
La cosa singolare è che, in modo assolutamente speculare al Pd oggi ultra-atlantista pur essendo erede del filo-sovietico Pci, in realtà forze politiche più di recente filo-Putin in passato avevano un atteggiamento opposto. I due ex Nicola Biondo e Marco Canestrari nel loro libro “Supernova I segreti, le bugie e i tradimenti del MoVimento 5 Stelle: storia vera di una nuova casta che si pretendeva anticasta”, testimoniano ad esempio che «fino al 2014, in coincidenza con la guerra in Ucraina, la Russia e Putin erano fuori dagli interessi del Movimento grillino. «Noi chiediamo che il governo venga a riferire in aula al più presto sugli oscuri affari con lo zar russo», chiede il gruppo Cinquestelle alla Camera quando Putin arriva in Italia. «Cosa significa Unione Europea se Putin annuncia l’intervento armato in Ucraina e noi non facciamo niente?», chiede angosciato nel marzo 2014 Roberto Fico.
Eppure, come spiegano sempre Biondo e Canestrari, «nel giro di un anno dalle parole di Fico, Putin passerà da essere l’uomo nero della politica mondiale allo statista di riferimento per il Movimento 5 stelle». Secondo loro, per un colpo di fulmine tra Alessandro Di Battista e Sergei Zheleznyak: un imprenditore proveniente dal mondo della comunicazione e della pubblicità già deputato putiniano del 2007, che nel 2012 diventa vice-presidente della Duma. Secondo un’analisi dell’Atlantic Council, sarebbe stato invece Davide Casaleggio in persona a decidere la svolta filo-russa nella primavera del 2015. Però anche secondo Biondo e Canestrari, «Putin è uno che tira, il suo nome produce traffico sulla rete».
Già nel giugno del 2014 la deputata Marta Grande fa alla Camera una denuncia demenziale, denunciando gli ucraini per cannibalismo ai danni dei russi sulle immagini di un film di fantascienza. Un anno dopo i Cinquestelle lanciano una campagna contro le sanzioni alla Russia, mentre sul blog di Grillo Di Stefano accusa l’Occidente di aver fatto in Ucraina un golpe. Una delegazione dei Cinquestelle va poi in Crimea, mentre i siti di area Cinquestelle si riempiono di contenuti RT e Sputnik. Di Battista come vice-presidente della Commissione Esteri della Camera è uno dei tre personaggi chiave di questa linea, assieme al capogruppo Cinquestelle alla Commissione Esteri della Camera Manlio Di Stefano e al capogruppo al Senato Petrocelli. Ma sarebbe stato Casaleggio a monitorare da vicino il processo.
Anche la Lega delle origini era anti-russa. Simpatizzando infatti per principio con ogni separatismo, tendeva a identificare la lotta per l’indipendenza della Padania dall’Italia con la rivolta delle nazioni oppresse contro l’Unione Sovietica. È con la Guerra del Kosovo che la Lega diventata filo-serba, per evidente antipatia verso un’Albania bollata come esportatrice di clandestini. Il 24 marzo 1999, quando la Nato inizia a bombardare la Serbia, i tre deputati della Lega nord, Enrico Cavalliere, Oreste Rossi e Luca Bagliani salgono su un’automobile e partono alla volta di Belgrado, per cercare di «evitare la guerra», mentre Bossi tuona contro gli americani «dominati dai framassoni e dai banchieri», «bambinoni a stelle e strisce». Il 23 aprile, al culmine della campagna di bombardamenti, Bossi stesso va a Belgrado bombardata per incontrare Milosevic per un’ora e mezzo.
La Lega ridiventa filo-Usa dopo l’11 settembre 2001, per riflesso anti-islamico che però considera il Putin della guerra ai ceceni un alleato strategico. Nel frattempo, l’ideologo del neo-nazionalismo russo Aleksandr Dugin inizia a essere popolare in certi ambienti di estrema destra, ancora molto minoritari, ma già in contatto con la Lega. Tra 2013 e 2014 la Lega inizia dunque a stabilire stretti legami con personaggi dell’entourage di Konstantin Malofeev: oligarca ultranazionalista e ultraortodosso. Nel febbraio 2014 è creata la Associazione Culturale Lombardia Russia, per facilitare lo sviluppo di rapporti non solo di affari ma anche politici.
Presidente della Acrl è Gianluca Savoini: giornalista e russologo storico della Lega. Iscritto al partito dal 1991 dopo essere passato per il gruppo di estrema destra Orion, che secondo il suo fondatore Maurizio Murelli aveva deciso apposta di infiltrare la Lega «perché debole culturalmente». Nominato portavoce da Salvini dopo il suo arrivo alla segreteria, il 18 dicembre 2013 Savoini è già riuscito a far intervenire Komov al congresso della Lega. Nel marzo del 2014 la Lega manda osservatori al referendum organizzato da Mosca in Crimea per legittimare l’annessione. E dal 2014 Salvini inizia a viaggiare a Mosca, esaltando Putin. Rapporti appunto sfociati nell’accordo tra partiti del 2017.
Ma bisogna ricordare che un fondo russofobo da residuo anticomunista c’è ancora nel centro-destra che vince le elezioni del 2001, e che istituisce Commissioni d’Inchiesta sul Dossier Mitrokhin e sui Telekom Serbia: appunto per cercare complicità della sinistra vecchia e nuova con despoti comunisti vecchi e nuovi. Presidente della Commissione Mitrokhin era il senatore Paolo Guzzanti, che nell’ottobre del 2008 ruppe clamorosamente con Berlusconi accusandolo di «far vomitare» per la sua posizione sulla guerra della Georgia. «Berlusconi ha superato se stesso paragonando il presidente georgiano Saakashvili a Saddam», disse. Può essere considerata la data che certifica la sterzata filo-Putin anche di Forza Italia.