«Hanno voluto l’ammucchiata contro e perderanno». Sono le parole di Carlo Calenda al Corriere dopo la rottura del patto con il Partito democratico. Letta «sapeva, perché glielo avevo detto, che non sarei stato nell’alleanza se si fosse siglato con Fratoianni, Bonelli e Di Maio un patto che di fatto rendeva la coalizione un’ammucchiata».
Secondo il leader di Azione, Letta si è trovato «di fronte a un bivio che il Partito democratico ha affrontato tante volte nella sua storia. Quello tra una scelta riformista o un’alleanza in cui mettere tutto e il contrario di tutto. Alla fine ha scelto questa seconda strada. E questo è stato l’errore». Il Pd, «dall’arrivo dei Cinque Stelle in poi, ha sempre l’ansia di avere tutto dentro. Il Pd non ha il coraggio di rappresentare i socialdemocratici: deve avere dentro i populisti di sinistra. Una cosa per me inspiegabile. E così facendo in questa legislatura si sono suicidati».
E se hanno detto no al Movimento Cinque Stelle, secondo Calenda «hanno semplicemente sostituito il M5S con Fratoianni. Il che non ha senso perché Fratoianni e i Cinque Stelle la pensano nello stesso modo su tutto, solo che uno ha il 2% e gli altri il 10. Non si capisce quale sia la logica. Allora tanto valeva tenersi il 10».
Il Pd poteva scegliere «tra fare l’ammucchiata “contro” e fare un progetto politico serio, alla fine ha scelto l’ammucchiata contro. E l’ammucchiata contro perderà. Non solo: non darà mai un’alternativa agli italiani. Cercare di mettere insieme tutti gli ex Cinque Stelle possibili e immaginabili, noi, Fratoianni, Bonelli, è un’operazione che non puoi spiegare agli italiani. Non puoi spiegare che per difendere la Costituzione fai un patto con gente con cui sai che non governerai mai. Nessuno può comprenderlo». Una coalizione del genere, prosegue, «non avrebbe portato gli italiani al voto. Avremmo avuto tanti astenuti e saremmo stati sconfitti pesantemente dalle destre».
Calenda ribadisce: «Io ho fondato Azione quando il Pd si è alleato con il M5S, ora lascio il Pd mentre si riallinea con Cinque stelle che adesso si chiamano Sinistra italiana ma sono esattamente la stessa cosa. Io non potevo venire meno alla coerenza, alla serietà e, me lo lasci dire, anche a un po’ di idealismo. Nessuno riavvicinerà la politica ai giovani e agli astensionisti dicendo semplicemente che dall’altra parte ci sono i fascisti. Questa è una pia illusione. Gli italiani hanno sentito troppe volte queste affermazioni e hanno visto che quelli che prima si scontravano subito dopo si accordavano. Il Paese è davvero stanco di questo andazzo. Le ammucchiate non funzioneranno né a destra né a sinistra».
Ora, dice, «il mio obiettivo principale è far partire la raccolta delle firme e contemporaneamente cercare di avere chiarezza sulla questione del logo, perché la legge prevede che se hai un eletto al Parlamento europeo non devi presentare le firme, tuttavia siccome è la prima volta che viene fatta una norma di questo tipo l’interpretazione è talmente ballerina che non si capisce niente. In ogni caso noi iniziamo oggi la raccolta delle firme».
Ma se si alleasse con Matteo Renzi, Calenda non avrebbe bisogno di raccogliere le firme. «Sicuramente ci incontreremo e parleremo», dice il leader di Azione.
Ma c’è sempre da tenere in conto un fattore: il carattere dei due, Calenda e Renzi – scrive Repubblica. Ieri non si sono parlati. Si incontreranno tra domani e mercoledì, forse. La trattativa, che nei due partiti è considerata una strada quasi obbligata, non è comunque banale. Il rischio che affiorino vecchie ruggini e personalismi è dietro l’angolo. Anche per questo Renzi pensa di offrire un messaggio distensivo, che pochi si aspettano: fare un passo di lato. Se davvero Calenda si mostrasse deciso a un accordo, il leader di Italia Viva sarebbe disposto a cedergli il ruolo di front runner del raggruppamento centrista. Di più: potrebbe perfino rinunciare al cognome nel simbolo, a patto che rimanga da qualche parte il logo di Italia Viva, a cui si è appena aggregato l’ex sindaco di Parma, Federico Pizzarotti.
C’è un altro ostacolo però: per raccogliere le firme, ad Azione serve l’elenco dei candidati, regione per regione. Vorrebbe dire trovare l’accordo su tutti i nomi entro dopo domani. Non è cosa da poco, per un partito ancora in gestazione. Ma c’è una ragione tattica, nella mossa: se ci riuscisse, Calenda avrebbe le mani libere. Potrebbe correre in solitaria o potrebbe chiedere di dar vita non a una lista unica con Italia Viva, ma a una coalizione. Un cartello in cui ognuno gareggia per sé. E chi scavalla il 3% va in Parlamento. L’ipotesi coalizione però a Renzi piace poco. Sarebbe una lotteria. Mentre con percentuali dal 5 al 10%, le previsioni verrebbero più facili.
Intanto Renzi gongola: «Questo è l’ennesimo capolavoro di Letta. Come sta facendo campagna elettorale per Meloni lui, nessuno».