Il governo del Kosovo ha rinviato di un mese, fino al 1 settembre, il divieto dell’uso di documenti di identità serbi e delle targhe dei veicoli nelle regioni del nord a maggioranza serba, accettando la proposta dell’Alto rappresentante della politica estera dell’Unione europea Joesep Borrell. L’annuncio del divieto, che doveva entrare in vigore oggi 1 agosto, aveva scatenato violente reazioni dei serbi del Kosovo e riacceso pericolosamente le tensioni tra Pristina e Belgrado, che non riconosce l’indipendenza del Kosovo. In una dichiarazione pubblica, la missione Nato nel Paese ha parlato di «situazione tesa».
Il primo ministro Albin Kurti ha affermato che si tratta di una misura di reciprocità, in quanto la Serbia – che non riconosce l’indipendenza della sua ex provincia a maggioranza albanese proclamata nel 2008 – chiede lo stesso ai kosovari che entrano nel suo territorio. Il capo della diplomazia europea, Josep Borrell, ha elogiato il rinvio di un mese e ha chiesto «l’immediata rimozione di tutti i blocchi stradali».
Nella serata di domenica, centinaia di serbi del Kosovo avevano ammassato camion, autocisterne e altri veicoli pesanti sulle strade che portano ai valichi di Jarinje e Brnjak. I serbi del Kosovo non riconoscono l’autorità di Pristina e rimangono fedeli a Belgrado da cui dipendono finanziariamente. Il presidente serbo, Aleksandar Vucic, ha affermato che la situazione in Kosovo «non è mai stata così complessa» per la Serbia e per i serbi che lì vivono.
Da parte sua, Kurti ha accusato Vucic di aver scatenato i «problemi» in corso. «Le prossime ore, giorni e settimane possono essere difficili e problematiche», ha scritto il primo ministro kosovaro su Facebook.
I manifestanti kosovari di etnia serba hanno bloccato le strade che conducono ai valichi di confine di Jarinje e Bernjak, obbligando le autorità a deciderne la chiusura. Media locali riferiscono che la Forza per il Kosovo a guida Nato (Kfor) ha inviato militari a pattugliare le strade. A partire dalla guerra del 1999, il Kosovo aveva tollerato l’uso di targhe emesse dalle istituzioni serbe in quattro municipalità del nord del Paese dove sono presenti maggioranze serbe. Secondo la nuova norma, al momento rinviata di un mese, sarà invece obbligatorio l’uso di targhe con l’acronimo Rks, cioè Repubblica del Kosovo.
Il presidente serbo Aleksandar Vicuc, parlando alla nazione, ha affermato che «i serbi del Kosovo non tollereranno altre persecuzioni. Cercheremo la pace, ma lasciatemi dire che non ci arrenderemo. La Serbia non è un Paese che si può sconfiggere facilmente come lo era ai tempi di Milosevic». Da tempo la tensione tra i due Paesi dei Balcani sta salendo di intensità e Belgrado denuncia persecuzioni nei confronti della minoranza serba in Kosovo.
In Kosovo è presente un contingente Onu formato da poco meno di 4mila soldati di 28 diversi Paesi, molti dei paesi Nato o alleati. La forza internazionale Kfor a guida Nato «controlla da vicino» la situazione al confine tra Kosovo e Serbia ed è «pronta a intervenire se la stabilità è messa in pericolo» in base al suo mandato, sancito dalle risoluzioni del Consiglio di Sicurezza dell’Onu, come si legge in un comunicato. Nello stesso testo diffuso in tarda serata, si afferma che il comandante della Kfor, il generale ungherese Ferenc Kajari, è in continuo contatto con tutte le istituzioni interessate, e anche con i vertici militari serbi.
La Russia, intanto, tramite la portavoce del ministero ministro degli Esteri Maria Zakharova, «chiede a Pristina, agli Stati Uniti e all’Unione europea di fermare le provocazioni e di rispettare i diritti dei serbi in Kosovo». Zakharova ha anche sottolineato che un tale sviluppo degli eventi è un’altra prova del fallimento della missione di mediazione dell’Unione europea.
Secondo l’Alto rappresentante della politica estera dell’Unione europea, che ha «accolto con favore la decisione del Kosovo di spostare le misure al primo settembre» sul divieto dell’uso di documenti e targhe serbe, «le questioni aperte dovrebbero essere affrontate attraverso il dialogo facilitato dall’Ue e l’attenzione dovrebbe concentrarsi sulla normalizzazione globale delle relazioni tra Kosovo e Serbia, essenziali per i loro percorsi di integrazione nell’Ue».