«I numeri possono cambiare e di molto negli ultimi giorni. Faccio un esempio: la Lega può solo scendere, perché se uno è indeciso e alla fine decide di votare a destra, vota la Meloni. Anche molti indecisi possono propendere per il Pd all’ultimo momento. La partita è aperta. Penso che si possa trovare una maggioranza in caso di vittoria».
Andrea Orlando, Partito democratico, ministro del Lavoro del governo Draghi, alla Stampa dice che «qualsiasi campo alternativo alla destra passa per la vittoria del Pd. Ora la questione fondamentale è spiegare che il Pd vuole portare fino in fondo il salario minimo, migliorare le condizioni salariali, battersi per la transizione ecologica. Il voto al Pd è lo strumento più efficace per realizzare un’agenda progressista. La ricostruzione di un campo progressista passa per due condizioni: la sconfitta della destra e una forza in grado di esserne il perno, il Pd».
È la strategia del richiamo al voto utile, insomma. Anche perché, secondo Orlando, Renzi e Calenda starebbero già intessendo relazioni con Meloni e Salvini. E se non entreranno direttamente nel governo, «forse», il Terzo polo «scommetterà su un processo di normalizzazione della destra, dicendo che sono loro i garanti. E quando Calenda parla di un governo di unità nazionale con la Meloni dentro, la inserisce in un campo entro cui riconoscersi». E aggiunge: «Guardi come dal Terzo polo catalogano come populista o radicale qualunque piccolo segno venga dal campo di centrosinistra e come siano distratti rispetto al fatto che dalla parte di Meloni vi sia un profluvio di celtiche, intrecciate con la destra post fascista. Un atteggiamento curioso se non lo si legge in modo prospettico. Ovvio che cercano di costruire oggi per il domani un sistema di relazioni».
E nell’agenda degli ultimi giorni per ribaltare il risultato, il Pd ha sferrato la carta dell’articolo 18 e del superamento del Jobs Act. «L’articolo 18 così come modificato dal Jobs Act va cambiato, anche perché ce lo ha chiesto la Consulta. Non è detto che torni alla forma originaria, sicuramente, come dice la Consulta, ci deve essere un deterrente più forte contro il licenziamento», spiega il ministro uscente.
Nel rush finale fino al 25 settembre, prosegue, «bisogna fare di tutto per cogliere le opportunità di questi ultimi giorni. Alcuni sondaggi dicono che il 70% degli italiani non ha fatto mente locale sul fatto che ci siano elezioni. Noi dobbiamo spiegare bene il meccanismo: chi arriva primo nel collegio, lo prende e gli altri no. Questo è un dato che andrà spiegato sempre più intensamente in queste due settimane. E poi aggiungo: è vero che non si vincono le elezioni parlando solo del pericolo che c’è se vincono loro, ma siamo di fronte a una destra che sta con Orban e in America con Trump…».
E poi c’è anche il pericolo russo se la Lega di Salvini andasse al governo, dice Orlando. «Di sicuro c’è una permeabilità del gruppo salviniano della Lega con relazioni molto pericolose, dato su cui tenere una particolare attenzione. In caso di vittoria della destra, ci sarà una parte tesa a rassicurare su questo fronte e credo ci sarà chi nel Terzo Polo si candiderà a fare da garante sul terreno dell’atlantismo. Si vede già da come tendono a minimizzare le ambiguità e le contraddizioni storiche della destra. Ma basta scorrere i partiti che aderiscono al gruppo europeo della Meloni per vedere quanti partiti nazionalisti e di estrema destra ci sono, spesso affascinati dal messaggio delle democrature».