Rilanciare e valorizzare la cultura e la storia del Mediterraneo attraverso una mostra e momenti di dibattito con esperti nei campi dell’architettura, dell’ambiente e dell’arte. È in sostanza questo il nobile obiettivo della Biennale dello Stretto, un laboratorio culturale tra Messina e Reggio Calabria che punta a riflettere (e a far riflettere) sulle trasformazioni delle tre rive del Mediterraneo (europeo, mediorientale e africano).
A cura dell’architetto, urbanista e designer Alfonso Femia e dell’architetta e professoressa di urbanistica Francesca Morali, la Biennale dello Stretto – prosecuzione del progetto di Mediterranei Invisibili, sviluppato attraverso la piattaforma culturale 500×100 sb – inizierà il 30 settembre e proseguirà fino al 15 dicembre.
Il cuore pulsante della manifestazione sarà il Forte Batteria Siacci, fortificazione umbertina sul lato calabrese dello stretto di Messina, più precisamente a Campo Calabro (città metropolitana di Reggio Calabria). I temi toccati saranno eterogenei: dalla storia delle tre rive mediterranee all’impatto della crisi climatica sui nostri mari. Il titolo della Biennale dello Stretto, non a caso, è “Le tre linee d’acqua”.
«Parliamo di eccesso e di mancanza d’acqua, di inondazioni e di siccità come si trattasse di accadimenti eccezionali, ma la verità è che questa è la situazione ambientale del tempo contemporaneo, la nostra normalità che condiziona economia, politica, cultura, architettura e arte. La Biennale è un’occasione per riflettere su come sia possibile contribuire a costruire
città e territori, paesaggi e visioni più tollerabili e sostenibili per l’uomo», ha detto Alfonso Femia durante la presentazione di quello che è molto più di un semplice evento, ma «un’occasione di proiezione nel futuro, attraverso l’attivazione di un laboratorio internazionale sulle tre rive del Mediterraneo e sulle relazioni tra il Mediterraneo e il resto del mondo».
La scelta dello Stretto di Messina come location non è affatto casuale. Stiamo infatti parlando del baricentro del Mediterraneo, «il centro fisico e immateriale. Una dimensione peculiare che ne racchiude una sintesi, quasi simbolica e ne interpreta il respiro dell’anima. È un luogo complicato tanto eterogeneo da contenere 100, 1.000 territori in pochi chilometri. Ma lo Stretto è anche il punto di caduta e vulnerabilità per tutto il mezzogiorno, reinterpretarlo nella doppia proiezione nazionale e mediterranea significa riscrivere i codici del futuro attraverso quel talento ribelle di una idea sfidante e rigeneratrice di cultura», ha spiegato Francesca Morali.
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