Carlo Calenda, leader del terzo polo formato da Azione e Italia Viva, è appena rientrato da un tour in Sicilia. E domani ripartirà alla volta del Nord produttivo: Milano, Brescia, Bergamo, Verona e Cernobbio. Dai sondaggi arrivano notizie positive di crescita. E l’obiettivo che ribadisce è sempre quello: «Fermare questa destra sfascia-conti e chiedere a Mario Draghi di restare a Palazzo Chigi». Con la priorità, dice in un’intervista al Messaggero, di «salvare le imprese che rischiano di scomparire. Anche imponendo una forzatura a Bruxelles».
Secondo Calenda, con l’energia a questi prezzi, il rischio di desertificazione industriale denunciato da Confindustria è concreto. «Da un mese propongo ai leader dei partiti di interrompere la campagna elettorale e incontrarci», dice. «Meloni dice lunedì in Parlamento: va bene. Vorrei però far notare che il centrodestra continua a chiedere a Draghi di investire decine di miliardi sulle bollette ma poi si arrabbia se il governo in carica per gli affari correnti vende Ita. Dobbiamo prenderci tutti un impegno».
Quale? «Che siamo pronti a investire in modo massiccio contro il caro energia ma che dopo non butteremo altri soldi. Lo dicano tutti chiaramente: al governo non scasseremo i conti». Perché «non basta improvvisarsi responsabili per 10 minuti. Il programma che hanno presentato Lega, Fratelli d’Italia e Forza Italia costa 200 miliardi. Così non siamo seri».
Intanto, il tetto europeo al prezzo del gas è un obiettivo «realizzabilissimo: l’Europa può essere in grado di imporre alla Russia il prezzo del metano. E poi tutti i contratti di fornitura prevedono clausole di forza maggiore per frenare la speculazione. Ma è un’operazione complessa, ci vorrà tempo: prima servono altre misure».
Per prima cosa, prosegue Calenda, bisogna «sganciare il prezzo dell’energia prodotta dalle rinnovabili da quella ottenuta con il gas. Secondo: un taglio secco da dieci miliardi alle bollette delle imprese energivore, a partire dal settore dell’acciaio e della ceramica. Terzo: rigassificatore a Piombino, su cui Pd e Fratelli d’Italia hanno detto tutto e il contrario di tutto».
Quarto: «Bisogna comunicare a Bruxelles la sospensione immediata dei crediti Ets, i cosiddetti certificati sulle emissioni che le imprese acquistano in base a quanto inquinano. Di fatto, una tassa in più. Non possiamo permettercela». E per farlo, va bene anche «una forzatura. Una comunicazione unilaterale a Bruxelles. Non si può aspettare ancora: alla fine ci arriveranno anche le Istituzioni Ue. Nel frattempo, andiamo di fronte alla Corte di Giustizia europea, se serve».
Calenda dice di essere favorevole allo scostamento di bilancio ma «solo a certe condizioni, se necessario per salvare il Pil. Meloni fa il contrario di quello che promette: si professa atlantista e in Europa sta con Orban».
Secondo il leader di Azione, né Meloni né la sua classe dirigente hanno il curriculum da capo del governo. «A Bruxelles sta coi filorussi, c’è già un cordone sanitario verso di lei e il suo gruppo. Non credo che da premier avrebbe agibilità politica per chiedere più deficit o supporto monetario della Bce», spiega. «Se fossi Meloni, poi, io sarei il primo a chiedere al premier di restare per superare questo momento di tempesta: dovrebbe rendersi conto di non poter fare meglio».
Il programma di Calenda è questo: «Costruire un Paese normale, niente bonus né promesse irrealizzabili. Ogni euro in più va messo sui giovani e sulla sanità: non si possono aspettare 22 mesi per una mammografia. E poi serve un piano shock per la scuola». Con «tempo pieno in tutti gli istituti, anche al liceo. Il 50% dei diplomati risulta impreparato, il doppio della media europea. Meno educazione nozionistica, più attitudine all’apprendimento. La maturità un anno prima proposta dalla destra non ha alcun senso».