«Prenderemo più voti della Lega». Il leader del Terzo Polo Carlo Calenda lo dice convinto in un’intervista al Foglio. «Non c’è solo il fatto che Matteo Salvini è fuori controllo, e arriva a rinnegare il voto sul lockdown per provare a racimolare qualche voto di antivaccinisti. C’è anche il fatto che gli elettori non estremisti della Lega, e sono tanti, e con loro quelli di Forza Italia, hanno capito che quella offerta da Giorgia Meloni non è una prospettiva di governo». E ne sono la prova, secondo Calenda, le ultime uscite della leader di Fratelli d’Italia, «del tutto scomposte». Perché, spiega, «con l’approssimarsi del 25 settembre, sale la tensione. E portare avanti la recita diventa difficile. La Meloni rivela il suo bluff di fina draghiana, e appare per quella che è. Dopo Orban, anche Vox: se mai andasse a Palazzo Chigi, ci relegherebbe ai margini dell’Ue, nel club dei reietti».
Per il leader di Azione, c’è un problema di valori certo. Ma sarebbe un problema anche per l’economia italiana. «Perché un eventuale premier che a cinque giorni dal voto paventa complotti internazionali, getta accuse sui governi tedesco e francese, e rinnova fedeltà a Orban e agli estremisti di destra spagnoli, quale voce in capitolo avrebbe a Bruxelles? Hai voglia poi a dire che “la pacchia è finita”: la storia dei pugni sul tavolo è il rifugio retorico di chi sa di non contare in Europa, di non avere altro strumento di legittimazione diplomatica se non quello garantito dello scontro. Perché se a meno di una settimana dalle elezioni tu ritorni a elogiare Vox, vuol dire che in queste settimane di finta responsabilità hai recitato, vuol dire che la tua natura autentica è quella mostrato sul palco di Marbella». Quando Meloni pronunciò il famoso discorso in spagnolo del «sì a la familia natural, no a los lobbis Lgbt, sì a la identidad sexual, sì a la cultura de la vida, no al abismo de la muerte».
«Io l’ho vista, la Meloni, l’ho incontrata in questa campagna», racconta Calenda. «È sempre sulla difensiva, sempre nervosa, sempre in preda a una specie di sindrome da assedio. Ce l’hanno tutti con lei: i giornalisti, gli artisti, le cancellerie straniere. Ma stare a Palazzo Chigi richiede saldezza di nervi, capacità di incassare in silenzio. Non è altezza. È unfit. per non dire di questo persistere di ideologismo nimby: dopo Piombino, anche l’Abruzzo. Dopo il rigassificatore, il gasdotto di Sulmona. Il tutto per non perdere qualche voto che potrebbe andare al M5S? Ma dai».
Questa confusione, secondo Calenda, avrà i suoi riflessi sugli elettori di centrodestra. «Forza Italia sfiorerà la soglia di sbarramento. La Lega è al collasso», dice. «Perché mai un imprenditore del Nord, una partita Iva, un avvocato, di fronte a questa Meloni dovrebbe sperare in un governo guidato da lei, e non puntare su un nuovo incarico a Mario Draghi con un sostegno trasversale che va dal Pd alla Lega desalvinizzata?».
Certo, Draghi ha già escluso il bis. «Qualunque dichiarazione che non fosse stata di diniego avrebbe prodotto un parapiglia politico», spiega Calenda. «Lui resta fuori dalla contesa elettorale, pur non essendo certo equidistante». Si è visto nella sua ultima conferenza stampa, «la più politica di tutte, dove nelle critiche a sovranisti, filoputiniani e populisti è stato piuttosto esplicito».
Basta questo, dice Calenda, «a investirci di nuova responsabilità, a noi del Terzo Polo: nel senso che ci impegna ancor più a dimostrare che c’è una domanda di politica come arte del governo, non come perenne propaganda. Se di voti ne prenderemo tanti, su questa base, allora dimostreremo che sì, c’è una voglia di Draghi. Dopodiché, il da farsi lo valuterà il Capo dello stato ed eventualmente il premier stesso».
Ma, a prescindere dal risultato, per Calenda sarà decisiva comunque una tregua sulla attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza. «È troppo importante perché possa essere fatto oggetto di contesa politica». Altro che «rinegoziare come vuole la Meloni».
Calenda però non dimentica Enrico Letta, segretario del Pd: «Gli chiedo: la sua prospettiva di governo, esattamente, qual è? Lui chiede un voto per fare cosa? Con Conte, almeno a parole, esclude ritorni di fiamma. Con noi non vuole confrontarsi. Perfino rispetto a Fratoianni e Bonelli, che pure sono suoi alleati sulla scheda elettorale, esclude qualsiasi prospettiva di governo. Ma quindi cosa pensa di fare? Un monocolore Pd? Non ci crede nemmeno lui, suvvia. Alla fine un nuovo incarico a Draghi è la prospettiva su cui anche chi nel Pd non vuole rassegnarsi alla Meloni dovrà convergere».