A volte ritornano. Hanno nomi evocativi, rustici, arcaici: Russello, Perciasacchi, Maiorca, Bidì. E Tumminia, certo, perché è “lei” che ha fatto gridare al miracolo il New York Times.
Un titolo a scatola del quotidiano newyorchese ha celebrato, infatti, la Tumminia Revolution, una rivoluzione green e pacifica che vedeva (e vede) il ritorno, nei campi, nei mulini, nei forni, in tavola delle varietà autoctone di grani, quelle comunemente definite “antiche”.
Se di Tumminia parlava Goethe nel suo Viaggio in Italia (“un bellissimo dono di Cerere”, lo definisce lo scrittore), questo grano era noto già in epoca greca con il nome trimeniaios. Varietà delicate e nobili, quelle di Tumminia&Co, diffuse e allevate fino agli anni ’50 del secolo scorso, prima che la cosiddetta rivoluzione verde orientasse le coltivazioni verso varietà geneticamente modificate, adatte alla coltivazione intensiva e con alte rese per ettaro.
Da qualche tempo, però, queste colture locali ritornano ad essere interpreti, dopo anni di oblio, della Dieta Mediterranea, grazie all’alto contenuto di fibre, minerali, componenti fenoliche e vitamine delle farine ricavate dai grani locali. La rivoluzione incruenta di questi frumenti “antichi” non poteva che partire dalla Sicilia, metafora del Bel Paese anche in campo alimentare (e non ce ne voglia Sciascia!).
Qui esiste, infatti, da quasi un secolo, la Stazione Sperimentale di Granicoltura, una vera e propria banca dei semi unica al mondo dove sono conservate le varietà di cereali autoctoni siciliani, tenuti in vita e seminati solo per scopi
scientifici.
Non solo: tra ventisette qualità di grano duro riconosciute nel Registro Nazionale delle Varietà di Conservazione, sul territorio dell’isola ce ne sono ben ventidue. E sull’isola la palingenesi delle varietà antiche è merito di piccoli produttori che hanno scelto di recuperare una secolare tradizione alimentare e di coltivare, macinare ed usare solo frumenti locali. Così contadini, mugnai, pastai, panificatori si stanno impegnando per riportare in auge la produzione e l’utilizzo dei grani locali.
Una case history tra tutte? Quella di Filippo Drago, particolarmente significativa. Mulinaru, figlio e nipote di mulinari, o “mugnaio contemporaneo” – come lui stesso si definisce – in quel di Castelvetrano (Tp), Filippo è un guru dei grani antichi siciliani e ha puntato tutto sulle farine di qualità, recuperando la tradizione della molitura del grano a pietra naturale e cominciando a produrre farine dai migliori cereali autoctoni dell’isola.
«I miei conferitori – racconta Drago – sono circa un centinaio di coltivatori disseminati tra i territori (circa tremila ettari) più vocati alla coltivazione del grano, ma rigorosamente solo in Sicilia».
Snobbato sull’isola (il nemo propheta in patria vale anche per i mugnai contemporanei), Drago viene scoperto qualche anno fa da Eataly e dai big della panificazione continentale (Longoni, Marinato, Fagnola, Flaborea): le sue farine hanno fragranze straordinarie, sapori antichi, veri, inediti che si pensavano perduti. Sono farine integrali (spremute di grano, le chiama affettuosamente Filippo) dove germe, crusca e cruschello vivono e convivono senza essere separati alla nascita.
E allora vale la pena di visitare l’azienda di Drago, i Molini del Ponte appena fuori dal centro storico di Castelvetrano. Inutile cercare i cliché da spot pubblicitario: il mulino è in una costruzione anonima – per intenderci, niente ruote azionate da ruscelli, niente messi che ondeggiano al vento, niente muri bianchi – ma all’interno si scopre che tecnologia e tradizione qui vanno d’amore e d’accordo.
L’orgoglio del mugnaio è, ovviamente, la molitura a pietra naturale con i mulini a palmenti risalenti alla fine dell’800 a cui, però, si affiancano modernissimi impianti di controllo ottico di selezione e pulitura del grano.
«Con la molitura a pietra – spiega Drago – ogni varietà di grano conserva i suoi profumi e i sapori che lo caratterizzano. E Grani D’autore® è il marchio delle farine e semole prodotte nel mio mulino, di cui indico anche il luogo di provenienza e il nome del produttore, per una scelta di trasparenza e di tracciabilità».
Apripista, nella storia produttiva di Drago, è stata la Tumminia, da cui si ricava una farina dolce, dal profumo di nocciole e mandorle tostate. Che a Castelvetrano è da sempre l’ingrediente principe del Pane Nero (già Presidio Slow Food): pagnotte (le cosiddette “vastedde”) dalla crosta color caffè decorata con semi di sesamo.
Con la Tumminia, ma anche con le altre farine che escono dai Molini del Ponte, abili mastri pastai, poi, preparano varietà di pasta identiche a quelle fatte a mano dalle nonne: busiate, spaccatelle, casarecce, spaghettoni. E coi cereali maltati di Drago, Ivan Borsato, birraio, produce Si’Si’Lì, birra artigianale non filtrata e rifermentata in bottiglia.
Drago non è da solo nella “Operazione Grani Antichi”. Altri, in Sicilia, hanno deciso di cambiare strada, investendo in una nuova concezione, 100% biologica, della produzione agricola, riducendo la quantità ma puntando tutto sulla qualità. Ecco, per esempio, i fratelli Pendolino (Rosario e Maria Luisa) di Aragona (Ag), che si sono dedicati alla coltivazione di grani antichi ma non solo.
«Abbiamo deciso – racconta Rosario – di chiudere la filiera del pane, partendo dal grano fino al panificio, diventando produttori e rivenditori. Siamo convinti che la produzione dei grani antichi in maniera economicamente sostenibile sia possibile solo se si riesce a chiudere la filiera». Ed è quello che i Pendolino hanno fatto, aprendo nel loro paese Terra Dunci panificio, tavola calda, biscottificio, pasticceria dove le farine di grani antichi sono protagoniste (quasi) assolute, in preparazioni tradizionali ma anche innovative.
Ad Aragona, tra l’altro, esiste anche un progetto turistico legato ai grani autoctoni. Per scoprire di cosa si tratta basta sentire Maurizio Tedesco, proprietario di Fontes Episcopi, un tempo buen retiro del vescovo di Aragona e oggi baglio di charme circondato da palmeti e alberi da frutta. «Ai visitatori, stanchi della vita frenetica – spiega Maurizio – interessa di nuovo la bellezza delle cose semplici e genuine, la lentezza di un ritorno al passato e alle origini che è diventato il tema portante della nostra struttura».
E così accanto all’ortoterapia, ai trattamenti nella Spa a base di frutta o di piante officinali coltivate, in biologico, nel giardino di casa, a Fontes Episcopi è possibile seguire cooking class per preparare vari formati di pasta di casa con la farina di grani antichi. Che vengono coltivati all’interno del Parco Archeologico della Valle dei Templi di Agrigento e moliti in un piccolo mulino.
Non è ancora tutto. Basta spostarsi in Val di Noto, per scoprire che la lunga marcia della “Operazione Grani Antichi” prosegue lentamente ma inesorabilmente verso Est.
A Vittoria (Rg) Emanuele Guastella e Oriana Giuffrè hanno inaugurato da poco Grani Panificio Sociale, un concept che ruota intorno all’artigianalità e all’attenta selezione delle materie prime in un percorso fatto di gusto e design, saperi e sapori, dove un decor postindustriale (ferro, legno, ceramiche fatte a mano) accompagnano il profumo del pane e il calore del forno.
Emanuele ha una passione smisurata per l’arte della lievitazione: è cresciuto tra i sacchi di farina del panificio di famiglia (con lui siamo arrivati alla terza generazione) ma con una voglia forte di cambiamento. La sua sfida consiste nello scoprire tutto ciò che distingue il territorio: il lievito madre è l’elemento centrale della sua filosofia ma la selezione delle materie prime si estende anche alle tipologie di farine da utilizzare, come i grani antichi siciliani base indispensabile per pane e pizze, focacce e grissini, torte e biscotti.
Forme e preparazioni tradizionali, certo, ma anche nuove proposte e sperimentazioni che vedono, per esempio, la farina di Tumminia entrare nella composizione di pane e grissini profumati al tartufo oppure di pagnotte e filoncini che nell’impasto prevedono l’uso dell’acqua fermentata di frutta al posto del lievito madre.
Grani, insomma, è la trasposizione materica di una produzione che rispetta i tempi e materie prime locali e ne valorizza la qualità: l’unione di questi elementi dà luce al concept di Panificio Sociale, un luogo non solo di shopping ma anche di convivialità, di confronto in cui ci si ferma per gustare una colazione all’aperto, un light lunch, un aperitivo con gli amici. Per questo Emanuele e Oriana hanno creato degli spazi di aggregazione, degli angoli di relax esterni che insieme ad un piccolo angolo interno fanno casa.
Qui la socialità si lega alla sostenibilità e insieme danno vita ai valori di Emanuele e Oriana: alla base di ogni loro scelta c’è una ricerca costante di qualità e di rispetto per la materia prima, nella produzione, nel packaging, nella selezione delle bevande di accompagnamento.
A Modica (Rg), poi, c’è il Pastificio Minardo, un piccolo laboratorio artigianale diventato la concretizzazione di un progetto di Giorgio Minardo, che utilizza solo le antiche varietà locali di grano (Russello e Tumminia). «Ogni grano ha il suo sapore – dicono al pastificio – Per questo ci piace lavorare i grani in purezza e per preparare la nostra pasta, seguiamo un metodo lento, decisamente artigianale e fedele alla più nobile tradizione pastaia».
Lo stoccaggio e la molitura dei grani, per esempio, vengono effettuati separatamente per singole varietà. La molitura avviene a pietra per la pasta integrale, a cilindri per la pasta di semola di grano duro; in entrambi i casi, il germe del grano non viene mai asportato.
La semola viene impastata, a temperatura ambiente, con acqua minerale che proviene da una fonte situata sui Monti Nebrodi, un’area protetta dell’Appennino siculo. La trafilatura? Al bronzo, naturalmente, con una essiccazione che avviene lentamente e a bassa temperatura. Il risultato finale è una pasta ruvida, particolarmente profumata e gustosa, altamente digeribile.