Il Pd feudaleLe regioni del Sud vanno a destra, ma Letta non può chiederne conto a De Luca ed Emiliano

Se il centrosinistra perderà alle elezioni, la colpa sarà anche dei dirigenti regionali che non hanno saputo convogliare dalla loro parte i voti. Ma di fronte ai presidenti di Campania e Puglia, il leader del partito fa finta di niente perché in quelle aree (e lo sa) il sistema di potere è solo locale

Dim Hou, Unsplash

Non so quanta preoccupazione la cosa desti al Nazareno, ma certo tra gli osservatori della politica dovrebbe suscitare una certa impressione che le regioni rosse del Mezzogiorno – Campania e Puglia – rischino di rappresentare il buco nero delle ambizioni del PD e la più significativa anomalia elettorale partorita dalle urne del 25 settembre.

Se davvero, come nei peggiori incubi di Letta, la destra dovesse sbancare e avvicinare o superare i due terzi dei seggi alla Camera e al Senato, la responsabilità più clamorosa non sarebbe quella più esecrata – cioè quella di Renzi e Calenda, indisposti a suicide cortesie elettorali verso il PD – ma quella più occultata e rimossa, cioè quella di De Luca e Emiliano, che sono del PD ma non riescono a portare i “propri” voti al PD e alla sua coalizione, pur avendo riempito le liste democratiche di figli e famigli e pur avendo dimostrato, quando in gioco è la loro persona,di sapere reclutare cacicchi e capibastone di varia estrazione, per consolidare le rispettive satrapie personali.

Per De Luca hanno votato due anni fa più di due campani su tre. Per Emiliano quasi un pugliese su due. De Luca ha vinto in tutte le province campane, Emiliano in tutte fuorché in una. Sulla base dei dati delle elezioni regionali – dove non erano in coalizione con il PD né il M5S, né Calenda – la sinistra dovrebbe in teoria accaparrarsi quasi tutti i 21 collegi uninominali della Campania (14 alla Camera e 7 al Senato) e i 15 della Puglia (10 alla Camera, 5 al Senato), mentre, stando alle analisi più accreditate, risulta almeno virtualmente competitiva e non certamente perdente solo in una infima parte di essi.

È vero che anche altre regioni rosse (l’Emilia Romagna, la Toscana, il Lazio) – complessivamente meno rosse, in termini elettorali e meno feudali in termini politici – riserveranno al PD risultati inferiori a quelli che i rispettivi governatori hanno incassato pochi anni fa, ma è indubbio che solo in Puglia e in Campania emerge una sproporzione quantitativamente e qualitativamente così significativa, che non racconta solo di una fisiologica differenza tra il voto per il Parlamento e il voto per le Regioni, ma di una ben più patologica estraneità tra il sistema politico nazionale e il sistema di potere locale.

De Luca e Emiliano rappresentano un modello negativo di spoliticizzazione del processo democratico e di personalizzazione del rapporto politico. De Luca ed Emiliano non appartengono al PD, è il PD che appartiene a loro, come qualunque realtà nel loro network di potere voglia avere riconoscimento, per avere rilevanza. Quanti appartengono a De Luca ed Emiliano, a loro volta, non appartengono affatto al PD, ma sono affiliati a un sistema ideologicamente neutrale e trasversale legato da vincoli, anch’essi del tutto personali, di fedeltà e convenienza.

Questo spiega perché Letta e i dirigenti del PD non si fanno scrupolo di attaccare Renzi e Calenda che ruberebbero i voti del PD, ma si guardano bene dal chiedere conto a De Luca e Emiliano di dove andranno a finire il 25 settembre i voti dei vassalli, valvassori e valvassini del loro impenetrabile impero. E stanno prudentemente zitti – dando mostra di avere capito l’avvertimento – quando Emiliano, proclamando la Puglia Stalingrado dell’Italia antifascista, invita per fermare le destre a votare indifferentemente PD o M5S, come se fosse politicamente uguale e elettoralmente equivalente.

Entra nel club, sostieni Linkiesta!

X

Linkiesta senza pubblicità, 25 euro/anno invece di 60 euro.

Iscriviti a Linkiesta Club