«Nelle prossime settimane sia io che Mario Draghi lasceremo il nostro incarico. Ma sono certo che i nostri successori», in Italia e nel Regno Unito, «comprenderanno la posta in gioco in Ucraina». È l’augurio, ma anche l’avvertimento, di Boris Johnson, che parla a Repubblica a pochi giorni dal suo addio a Downing Street, martedì prossimo, dopo lo scandalo Partygate. «Perché», continua il primo ministro britannico, «i valori fondamentali alla base della nostra pace e della nostra sicurezza sono minacciati. Dobbiamo continuare a difenderli. A ogni costo».
L’ammirazione di Johnson per Draghi è enorme. Quando esplose la crisi Covid a inizio 2020, il leader britannico rassicurò la nazione con un mantra: «Salveremo l’economia, whatever it takes». Quando all’epoca si chiese a Downing Street se l’ispirazione fosse stato Draghi, la risposta fu: «Beh… ovvio».
Ma se Oltremanica a succedere a Johnson sarà molto probabilmente Liz Truss, ministra degli Esteri falco contro Russia e Cina, in Italia invece c’è molta più incertezza. Giorgia Meloni giura su atlantismo e sostegno all’Ucraina, ma il leader della Lega Matteo Salvini dubita dell’utilità delle sanzioni contro la Russia. E il presidente di Forza Italia, Silvio Berlusconi, è considerato uno dei politici europei più vicini allo “zar”.
Johnson non fa nomi. Ma dice: «Con l’avvicinarsi dell’inverno, il Regno Unito e l’Italia si trovano, ancora una volta, fianco a fianco nell’affrontare le conseguenze globali dell’invasione russa. Il vile blocco delle forniture di grano e la militarizzazione dell’energia da parte di Putin hanno fatto impennare i prezzi di cibo e gas», dice. Ed ecco il secondo monito del premier britannico uscente: «Di fronte a tale situazione, si potrebbe essere tentati di ripiegare internamente ed evitare un ulteriore confronto. Ma l’unico modo per sconfiggere un bullo», ossia Putin, «è affrontarlo, mettendo a nudo la sua debolezza, attraverso la nostra forza collettiva».
Sull’Ucraina serve dunque l’unità occidentale, secondo Johnson, che non dev’essere scalfita nemmeno dalle difficoltà dell’inverno alle porte. «Quando nel cuore della notte del 24 febbraio», racconta il primo ministro britannico, «Zelensky mi ha chiamato per dirmi che i carri armati russi stavano attraversando il confine, è stato dolorosamente chiaro che, in Europa, stavamo entrando in una nuova e pericolosa era. Putin aveva fatto l’impensabile e l’imperdonabile, iniziando l’invasione militare su larga scala di un Paese sovrano, con l’obiettivo di sottomettere il popolo ucraino con ogni mezzo necessario. Da allora, il nostro continente si è mobilitato per sostenere la difesa dell’Ucraina, per rafforzare la sicurezza del fianco orientale dell’Europa e inasprire la pressione economica sulla macchina da guerra russa».
«Mario Draghi e io», dice Johnson, «siamo stati fianco a fianco nella Nato e nel G7, impegnandoci a sostenere la libertà e la democrazia in Ucraina e imponendo a Mosca sanzioni senza precedenti. E gli ucraini hanno dimostrato, con spirito indomito, che combatteranno coraggiosamente per la libertà, respingendo senza sosta la potenza dell’esercito russo». «Non dobbiamo mai minimizzare quanto di eroico hanno già fatto gli ucraini», dice. «Non ho mai visto in tempi recenti una differenza così netta tra giusto e sbagliato. Spero e prego che, alla fine, ce la facciano a espellerei russi dai territori occupati».