No money no partyRealtà aumentata

La siccità, il caro energia e le incognite legate alla situazione internazionale stanno innescando un corto circuito che dal mondo della ristorazione sta estendendo i suoi effetti negativi al terzo settore

Foto Unsplash

La crisi economica non risparmia nessuno, e tra aumento dei prezzi del pane, aumento dei costi di energia e gas, aumenti del costo del grano e di conseguenza di tutta la filiera a esso collegata, il settore dell’enogastronomia, già così pesantemente colpito dal COVID, ha grandi difficoltà a reggere l’urto del momento.

Lo vediamo nelle piccole insegne che chiudono, lo dimostrano le sempre più frequenti riduzioni di orari e dalla sempre minore disponibilità di materie prime. Dall’acqua alla birra, la “gasatura” pare che diventerà un vezzo al quale non potremo più cedere.

In Francia, in Olanda ma anche in Gran Bretagna c’è anche un allarme rispetto alle produzioni agricole: gli agricoltori e le imprese alimentari stanno tagliando la produzione mentre lottano per far fronte all’aumento dei costi. Le colture che richiedono un riscaldamento intensivo nei climi più freddi, come cetrioli, pomodori e lattuga, sono le più colpite. Ma la crisi energetica sta avendo un impatto più ampio sulla filiera alimentare europea, con fornai, produttori lattiero-caseari e altri produttori, compresi quelli di barbabietola da zucchero e olive, che lottano anche per pagare le bollette, poiché i costi aumentano molto più velocemente dei prezzi che possono assicurarsi dai grossisti. Alcuni coltivatori più vicini all’età pensionabile si stanno ritirando, mentre quelli che possiedono i terreni stanno pensando di venderli.

E i più giovani? Per sopravvivere decidono di smettere le produzioni che richiedono più energia e di piantare frutta e verdura meno energivore.

Ma anche nel terzo settore la crisi non dà tregua, perché pure i costi da sostenere per aiutare chi è meno fortunato sono sempre più alti e rubano molte più risorse rispetto a quelle destinate ai fini benefici. Ma c’è un altro problema: se tutti siamo più poveri, saremo meno disposti a donare, e – ancora peggio – avremo meno tempo da donare agli altri.

Il punto cardine della questione è che a fronte di un numero sempre maggiore di poveri e indigenti da aiutare, c’è un numero sempre più ridotto di volontari a dare una mano. Un circolo vizioso con cui dovremo fare i conti e che sarà un’altra delle tappe della nostra strada in salita dell’autunno.

Le newsletter de Linkiesta

X

Un altro formidabile modo di approfondire l’attualità politica, economica, culturale italiana e internazionale.

Iscriviti alle newsletter