Tempi straordinari richiedono strumenti straordinari. E in Italia l’ordinarietà è sempre stata fuori moda. Le leggi e le manovre economiche vengono fatte spesso sull’onda di una qualche emergenza, vera o presunta, che costringe a provvedimenti eccezionali, che spesso vengono prorogati perché si presenta di continuo una nuova emergenza. Accade da sempre e a maggior ragione quando tale emergenza è reale, e il Covid lo è stata, tragicamente.
Così fioccano i bonus, che però non sono solo fiscali, perché non si limitano a favorire la domanda in un settore in crisi (l’edilizia per esempio), a incentivare le nascite, ad alleviare costi necessari come per esempio quelli dei trasporti. Sono presenti, e non da oggi, anche nel mercato del lavoro e prendono il nome di agevolazioni e decontribuzioni. Si tratta di sconti sui contributi pagati dalle imprese che mirano ad accrescere le assunzioni.
La notizia è che con il Covid il loro utilizzo ha toccato un nuovo record. Nel 2021 e nel primo trimestre del 2022 la percentuale di nuove assunzioni effettuate grazie a qualche forma di sgravio è stata pari o superiore al precedente picco del 2015, quando aveva toccato il 23,1% grazie alla decontribuzione di quelle a tempo indeterminato. L’anno scorso i nuovi contratti firmati grazie a qualche agevolazione sono stati il 24,1%.
Fonte: Inps
La parte del leone stavolta è stata fatta dalla Decontribuzione Sud. Si tratta di un incentivo che allarga uno analogo dell’epoca pre-Covid, e che prevede un esonero dal versamento del 30% dei contributi fino a fine 2025. Lo sconto andrà a diminuire nel 2026 e 2027 (20%) per poi scendere ulteriormente nel 2028 e 2029 (10%) ed essere poi eliminata. Ma ci sarà tempo per eventuali modifiche.
Nel 2021 e nei primi tre mesi del 2022 ben il 15,8% e il 14,5% delle assunzioni hanno beneficiato di questo incentivo. A seguire l’apprendistato, che di tutte le agevolazioni è quella in realtà più stabile e meno soggetta a cambiamenti.
L’elenco di quelli che possono essere definiti bonus del mercato del lavoro è però più lungo. Vi è l’esonero contributivo completo per l’assunzione a tempo indeterminato dei giovani fino a 35 anni, che è stato varato nel 2021 e confermato per la prima parte del 2022.
E poi l’Incentivo Donne, che analogamente prevede uno sconto del 100% dei contributi per l’assunzione di lavoratrici, che però devono appartenere a categorie svantaggiate, per esempio con più di 50 anni e disoccupate da più di 12 mesi, o essere di qualsiasi età ma senza occupazione da 24 mesi.
È evidente il cambio di passo rispetto agli anni del Governo Renzi. Allora, nel 2015 e 2016, il focus era sull’assunzione a tempo indeterminato, per combattere la precarietà. Quella decontribuzione provocò un boom di nuovi contratti permanenti.
Nel 2020, invece, il Governo Conte ha puntato a favorire la provenienza geografica del lavoratore, privilegiando il Mezzogiorno. Non è un caso che per questo tipo di incentivo vi siano meno limitazioni di quelle previste per le donne (è richiesta una disoccupazione di lunga durata) o per i giovani (riguarda i contratti permanenti).
E non è un caso che nel 2021 più di un milione e 100mila nuovi rapporti abbiano beneficiato della Decontribuzione Sud, circa dieci volte in più di quanti hanno goduto di un Esonero Giovani.
Le agevolazioni per il Sud hanno inciso maggiormente sulle assunzioni dei 30-50enni e degli over 50 rispetto a quelle dei più giovani. L’anno scorso sono state presenti nel 19,2% dei contratti di lavoratori più anziani, mentre solo il 13,9% degli under 30 ne ha tratto beneficio.
A causa della prevalenza della Decontribuzione Sud sulle altre oggi sono più le assunzioni stagionali (il 28% è avvenuta con questi sgravi nel 2021) e quelle a termine a godere di sgravi fiscali rispetto a quelle a tempo indeterminato.
Potremmo dire che questi bonus non stanno incentivando la nascita di contratti permanenti. È ovvio, in una situazione di emergenza anche la Commissione Europea ha chiuso più di un occhio di fronte questi aiuti, ed è comprensibile che nella fase di fragile ripartenza le imprese delle aree più deboli, quelle del Mezzogiorno, abbiano privilegiato le assunzioni a termine.
Il punto è che, come per gli altri bonus, si tratta di vantaggi provvisori. La Decontribuzione Sud è destinata a terminare e lo sconto per le aziende diminuirà gradualmente, come si è visto. Il lavoratore assunto oggi costerà di più dal 2026.
Lo stesso accadrà al giovane beneficiario dell’esonero contributivo, che scade dopo 36 mesi (48 mesi al Sud), o alla lavoratrice che gode di Incentivo Donne, che dopo solo 12 mesi (18 per le assunzioni a tempo indeterminato) costerà all’azienda come i colleghi.
Cosa succederà allora? Nel frattempo questi assunti avranno appreso le competenze necessarie per essere così produttivi da valere più del costo del proprio salario e delle tasse che su questo sono imposte?
Cosa succederà dopo la fine degli incentivi, che in gran parte non saranno rinnovati? E se saranno rinnovati sarà una spesa sostenibile ed efficiente?
L’impressione è che si tratti di toppe che i governi trovano comode perché meno controverse di riforme strutturali. Come per esempio una maggiore differenziazione tra i salari del Nord e del Sud (le gabbie salariali), oppure vantaggi permanenti per i più giovani, o collegamenti stabili tra scuole, università e imprese. E, più in generale, un calo graduale del costo del lavoro complessivo.
Quest’ultimo in particolare non potrà che essere lento. È più comodo varare interventi ad hoc, che funzionano un po’ come una droga o, come una volta, le svalutazioni “competitive” della lira, abbassando artificialmente i costi e disincentivando investimenti che accrescono la competitività tramite una maggiore produttività.
I prossimi dominatori dell’agone politico sapranno essere più coraggiosi dei predecessori nel varare misure meno provvisorie? È lecito dubitarne.