«Donna, vita, libertà!». Il nuovo slogan gridato nelle piazze dell’Iran segna una novità assoluta nella trentennale mobilitazione contro il regime degli ayatollah. Per la prima volta in un Paese islamico infatti la liberazione della donna viene invocata nelle strade per scardinare dalle fondamenta il regime islamico da un movimento ribelle diffuso, non solo a Teheran e nelle grandi città ma anche nella enorme periferia del Paese.
La mobilitazione popolare a fianco delle donne, che gettano via il velo e si tagliano provocatoriamente i capelli in piazza, segna un salto di qualità eccellente. La grande, enorme novità è che gli uomini sono in piazza per urlare che sono solidali con le donne ribelli. Un fatto eversivo in un Paese islamico.
Sia chiaro, rivolte contro il velo e l’oscurantismo, la vera e propria fobia nei confronti della donna di Khomeini e del suo regime, non sono una novità in Iran.
Sono iniziate sin dal 1979 e sono via via cresciute negli ultimi anni. Ma oggi l’esaltazione della libertà della donna è diventata egemone nella protesta anche da parte degli uomini – che naturalmente continuano a gridare «Marg bar Khamenei», «Morte a Khamenei» – e coglie nel segno.
L’inferiorità sociale della donna costituisce il principale fondamento su cui si regge una società islamica, nella quale non solo si deve coprire il corpo e il capo (la motivazione è che, a differenza dell’uomo, essa non è capace di gestire i segnali di attrazione sessuale che emana), ma la sua testimonianza vale il 50% rispetto a quella di un maschio in tribunale, la sua quota ereditaria legittima è la metà di quella del fratello, può essere ripudiata senza diritti ed è sottoposta alla tutela – wali – del padre o del fratello per sposarsi.
Ma nel regime khomeinista c’è di più e oltre il Corano; le sue basi poggiano proprio su una ossessione fobica nei confronti della donna e della sessualità come ben risalta da una famosa affermazione di Khomeini: «Ogni volta che in un autobus un corpo di femmina struscia contro un corpo di maschio, una scossa fa vacillare l’edificio della nostra rivoluzione».
Dunque, contro questa ossessione fobica, che impone la terribile discriminazione della donna, sono oggi decine e decine di migliaia i manifestanti che scendono in piazza in Iran ogni sera. Un movimento ribelle imponente ovviamente supportato soprattutto dai giovani in un Paese nel quale il 70% dei cittadini ha meno di 35 anni. Un movimento come sempre coraggioso che affronta una repressione feroce: una ottantina a oggi i morti, centinaia e centinaia i feriti e non meno di 3.000 arresti nella sola Teheran.
Feroci nella repressione sono soprattutto i Bassiji, una forza ausiliaria paramilitare giovanile di non meno di 90mila unità, reclutata in genere tra gli emarginati, con funzioni di ordine pubblico a cui vanno attribuite vere e proprie esecuzioni dei manifestanti.
Hadis Najafi, la bellissima “ragazza della coda” di 20 anni, famosa per aver postato in rete la foto in cui getta il velo e si fa la coda coi capelli, è stata uccisa dai Bassiji in piazza con ben sei proiettili in corpo: una mattanza.
Per il regime, le motivazioni della protesta sono esiziali, minano le sue stesse basi e reagisce con la ferocia di sempre, oggi, sotto la presidenza di Ebrahim Raisi, ancora più micidiale e tracotante.
La sola, ma fondamentale, debolezza del movimento è l’assoluta mancanza di una leadership politica che ne sappia usare l’enorme forza di mobilitazione per inceppare i meccanismi del regime. L’emancipazione del popolo iraniano dal regime oppressivo degli ayatollah avrà un lungo cammino.