È venuto chi ancora ci crede. È venuto chi ci ha creduto sin dall’inizio, quando c’era ancora la Lega Nord del Senatur, rimasto a casa ma più volte citato e ringraziato dai dirigenti della Lega. Ed è venuto anche chi storce il naso perché le giravolte e i tripli salti carpiati del Capitano non hanno fatto bene alla Lega ma continuerà a votarla perché la famiglia è la famiglia e non si molla nei momenti difficili.
E sono venuti anche i leoni (tanti e agguerriti) della Serenissima per ricordare ai mai amati cugini lombardi che l’autonomia s’ha da fare. Come ha ribadito il governatore veneto Luca Zaia che, per mettere le cose in chiaro, ha srotolato una bandiera gigante con il Leone di San Marco e ha detto «L’autonomia vale anche la messa in discussione di un governo».
Chi conosce bene la Lega e le sue dinamiche interne non è rimasto stupito ieri sul pratone di Pontida. Nessun flop, come qualcuno aveva paventato in modo affrettato. Basta con gli elmetti, le corna e il folklore in un momento di difficoltà in cui si prevede una flessione rilevante per il movimento che si ritrova sul “sacro suolo” per far vedere al mondo che il partito più longevo della politica italiana sopravvive a tutto, persino alla crescita vertiginosa dell’avversaria-alleata Giorgia Meloni.
Sul pratone gremito di persone arrivate da tutta Italia ma ben lontano dai numeri ostentati dagli organizzatori di 100mila militanti Matteo Salvini ha fatto forse il suo comizio più breve da quando guida la Lega, durato 15 minuti con i soliti slogan che va ripetendo dall’inizio della campagna elettorale.
E riassunti in 6 punti sottoscritti da ministri e governatori sul palco: stop al caro bollette, riforma dell’autonomia, flat tax e pace fiscale, quota 41 per le pensioni, il ripristino dei decreti Sicurezza, una giustizia giusta. Poi ha promesso pure di abolire il canone Rai.
Il raduno di Pontida una settimana prima del voto sembrava una grande festa del popolo leghista e in parte lo è stata perché era stato interrotto dalla pandemia dopo il 2019. Ma se una volta il movimento quando era solo padano si muoveva compatto come una tribù e guai a chi parlava con i forestieri di dissidi interni, ieri si presentava frammentato o meglio fluido, come lo è lo spirito dei tempi.
Quelli meno timorosi a esprimere le proprie riserve sono stati quelli che venivano dalle Regioni del Sud, rimasti spesso impantanati nelle paludi dei notabili locali. La sintesi migliore è forse quella fatta da Angela Perpetua arrivata da Isernia con la delegazione del Molise che dice «Salvini fa fatica a essere coerente ma siamo venuti perché bisogna difendere le fondamenta del movimento».
E se è vero, come ci fa osservare qualche dirigente della Lega, che quelli dissenzienti – perché falciati dalle liste elettorali, perché sono anni che ascoltano promesse non mantenute, perché la Lega più populista e meno autonomista è diventata una pietanza indigesta – sono rimasti a casa, le crepe si vedono. O meglio si sentono.
C’è l’avvocato piemontese che non condivide questa ossessione per la famiglia tradizionale e preferirebbe che la Lega ci concentrasse sui problemi della burocrazia che uccide il lavoro. Oppure Il manager musicale che vorrebbe fatti e meno retorica. E l’amministratore lombardo a cui la flat tax sembra «una boutade». E poi c’erano anche tanti giovani militanti che sono stufi di sentire la « »storiella della quota 41 per tutti e l’abolizione della legge Fornero».
Lorenzo e Alessandro hanno 20 anni e avrebbero voluto sentire qualcosa sulle politiche attive per l’occupazione «per noi che la pensione non l’avremo mai», dicono. E a loro che appartengono alla generazione Z e vedono la politica come una leva per i cambiamenti che aprano le porte ai più giovani, gli slogan zero sbarchi, #primaglitaliani non scaldano il cuore. «Vorremmo solo che ci fossero meno morti in mare, vorremmo fermare i trafficanti più che i migranti» ma poi chiedono l’anonimato «che tanto voteremo la Lega, anche se turandoci un po’ il naso».
Se si guarda al popolo leghista dal palco, il parco gremito sembra la Pontida di sempre, comunitaria e orgogliosa, ma se si gratta la superficie si percepisce anche la demotivazione. Sia fra gli amministratori sia fra i semplici militanti. Non davanti al palco dove tutti incoraggiano il loro leader con applausi o urlando «Matteo, Matteo» o dove gridano «Mario, Mario» ogni volta che Mario Barbuto, presidente dell’Unione italiana ciechi dice «Non vi vedo ma vi sento».
Nel sacro pratone a chiazze – il blu per chi indossa la maglietta con la scritta «Io credo in Matteo», il verde per governatori e militanti che ricordano così l’identità della Lega e anche gli errori di Matteo al Sud – ci sono tanti defilati che non applaudono.
Stanno ai tavoli degli stand, (fra cui si nota l’assenza clamorosa della Brescia leghista ridotta a un solo Comune della provincia) non applaudono e sono perplessi sia dagli slogan sia dagli sbandamenti del Capitano anche se poi nella Lega quando qualcosa non quadra la spiegano sempre allo stesso modo: incolpando il cerchio magico di turno. Soprattutto ora che mancano pochi giorni al voto e sentono il fiato sul collo di Fratelli d’Italia.
Certo, c’è sempre lo zoccolo duro che le spara grosse e dice che la Lega prenderà il 20%, il complottista che considera la guerra energetica una strategia pianificata dagli americani e viva Putin che lì c’è la democrazia. Ma c’è anche un giovane militante che viene da una famiglia iscritti al Pd di Renzi che racconta: «Dopo che Renzi ha lasciato Il Pd, tutta la mia famiglia si è iscritta alla Lega. Io sono andato in crisi e volevo mollare e andare con Fratelli d’Italia ma alla fine ci ho ripensato perché sono fascisti e allora sono rimasto nella Lega dove c’è posto per tutti».
Ed è vero che nella Lega formato Salvini che tifa per Trump e dal palco si propone come premier c’è posto per tutti. Autonomisti, meridionalisti, putiniani e atlantisti, liberali e sovranisti. Tutti insieme appassionatamente e caoticamente senza una bussola per orientarsi su questo pratone per contarsi, magari prendere un’altra batosta e poi ricominciare da capo. Meglio però se al Governo dopo il 25 settembre.