Di fronte alla grave crisi idrica e ad un settore agricolo messo a dura prova, l’Italia sta cercando soluzioni concrete a possibili episodi di siccità in futuro. Secondo molti esperti un’importante forma di prevenzione sarà quella della conservazione dell’acqua – ad oggi solo l’11% dell’acqua piovana viene trattenuta – e alla costruzione di nuovi bacini e invasi.
In Francia, la costruzione di alcuni tipi di bacini, detti riserve di sostituzione, ha creato una vera e propria “guerra dell’acqua”, che ci insegna che bisogna riflettere su quali sono i migliori modelli di stoccaggio e a utilizzarli con parsimonia.
ll dibattito sui metodi per stoccare l’acqua è aperto da diversi anni ed è talmente divisivo da aver creato non solo una frattura tra gli ambientalisti, ma anche tra gli stessi agricoltori. La discussione si è infatti cristallizzata intorno all’utilizzo e alla costruzione di nuove riserve di sostituzione, ribattezzate da chi vi si oppone “mega bacini”, per via delle loro considerevoli dimensioni: tra gli otto e i dieci ettari di superficie in media.
Un collettivo chiamato Bassines non merci da cinque anni si dichiara contrario alla proliferazione di questi grandi bacini attraverso manifestazioni e azioni di disobbedienza civile. Da poco hanno pubblicato una mappa che identifica più di cento riserve di sostituzione in Francia, alcune già esistenti e altre in via di costruzione.
Concentrati principalmente ad ovest e nel sud-est del paese, i mega bacini, difesi dal governo e finanziati dalle istituzioni, sono detti “di sostituzione” perché in grado di trattenere l’acqua d’inverno, prelevandola dalle falde acquifere, per poi permetterne l’utilizzo d’estate, quando la disponibilità idrica è minore.
Destinati soprattutto all’irrigazione di colture intensive come mais e cereali, questi sistemi vengono difesi e giustificati da alcuni agricoltori e sindacati, per i quali le riserve di acqua sono «una questione di interesse pubblico» necessaria a «garantire la perennità dell’agricoltura francese e della sua industria agroalimentare», spiega Emma, idrologa. Alcuni di questi bacini, tuttavia, sono già stati giudicati illegali a causa della mancanza di studi sul loro potenziale impatto ambientale.
Soluzione a breve termine
Ricoperte di teloni di plastica impermeabili e circondate da dighe, le riserve di sostituzione sono soprattutto prese di mira per gli effetti che producono sui suoli che ne risultano inariditi e di peggiore qualità. «Bisogna capire che prima che l’acqua penetri in una falda acquifera ci vuole moltissimo tempo e in generale solo il 9% dell’acqua piovana riesce a penetrare nel suolo.
Il fatto di creare bacini che pompano l’acqua dalle falde in quantità colossali è un non senso, soprattutto dopo un anno in cui per la prima volta le falde non si sono rinnovate. Se continuiamo a prosciugarle così abbondantemente renderemo i suoli aridi e contribuiremo ad accelerare gli effetti della siccità», evidenzia Emma, idrologa e ricercatrice sull’adattamento al cambiamento climatico.
Anche lo stoccaggio outdoor dell’acqua è fonte di critiche: «Sotto il sole l’acqua evapora, sviluppa salmonelle e sostanze insalubri. Si conserva quindi dell’acqua di bassa qualità per di più impedendole di alimentare il corso d’acqua al quale è connessa. Si tratta di una soluzione utile solo nel breve termine, ma che ci porta dritti contro un muro», prosegue Haziza.
Uno studio dell’AGU (Advancing Earth and Space Science) affermava già nel 2018 che, se da una parte le opere idrauliche possono ridurre la durata e l’intensità della siccità agricola, aumentano però l’intensità della siccità idrologica del 50%.
Se la protezione dell’acqua è una questione cruciale, la produzione agricola non può però essere lasciata da parte e c’è chi cerca di porsi al centro della diatriba. Serge Zaka, agroclimatologo che si occupa dell’impatto climatico sull’agricoltura ritiene, ad esempio, che per rendere i mega bacini un’operazione realmente conveniente, bisogna cercare di limitare al massimo il prelievo d’acqua dalle falde acquifere e studiarne la costruzione caso per caso.
«Esistono talmente tanti territori, suoli, tipologie di irrigazione, colture e varietà di falde acquifere, che bisogna studiare i singoli casi. Ad esempio, ci sono territori più fragili, come le aree umide, dove se si preleva acqua si rischia di creare uno squilibrio in superficie. In zone come il Marais Poitevin e le regioni umide, bisogna fare degli studi e non forzare la costruzione di bacini se l’ambiente è troppo fragile», spiega. Nel Marais Poitevin, ad ovest della Francia, una della più grandi aree umide d’Europa, si prevede però già la costruzione di sedici nuovi bacini molto controversi.
Mal-adattamento
Secondo alcuni agricoltori le riserve di sostituzione favorirebbero la produzione di proteine vegetali e il passaggio all’agricoltura biologica, per alcuni esperti invece il loro effetto sarebbe quello opposto, ovvero di conservare una forma di agricoltura intensiva e deleteria per l’ambiente. «Perché i bacini siano convincenti (dal punto di vista ambientale ndr.) bisogna introdurre colture che necessitano meno acqua e che resistono al caldo, migliorare i sistemi di irrigazione e proteggere i suoli per favorire l’infiltrazione dell’acqua.
Ma quando si ha a disposizione un mega bacino, si tende a non modificare le pratiche agricole, senza fare attenzione all’acqua proprio perché se ne possiedono grandi quantità. I bacini inducono a non ri-adattarsi, ma a conservare gli stessi metodi. Io lo chiamo “mal-adattamento” perché si pensa di aver trovato una soluzione, ma ci si è dimenticati di lavorare sul cambiamento climatico», sottolinea Zaka.
I mega bacini sono sfruttati solo da alcuni agricoltori, di norma le aziende più facoltose e produttive che necessitano di più acqua per irrigare, per questo motivo, lo sfruttamento di grosse quantità d’acqua generano disparità tra gli agricoltori, rischiando di produrre un sistema a due velocità. Durante l’estate, infatti, quando gli agricoltori sono costretti a limitazioni nell’uso dell’acqua e non possono irrigare per via della siccità, come è successo quest’estate, coloro che hanno accesso ai bacini possono invece continuare a farlo.
Ma attenzione, mette in guardia Zaka, «vedremo se nel 2050 gli agricoltori che non avranno adattato le loro pratiche avranno abbastanza acqua nei loro bacini per irrigare. Un bacino non basterà più e ne servirà un secondo. Invece gli altri agricoltori che avranno imparato a lavorare con poca acqua si saranno realmente adattati al cambiamento climatico e sapranno cosa fare in caso di siccità». Gli episodi di siccità ripetuti e l’aumento delle temperature negli anni a venire rischiano infatti di non permettere alle falde acquifere di riempirsi durante l’inverno e di rendere quindi i mega bacini infruttuosi.
Altri modelli possibili
Le riserve di sostituzione non sono però le uniche soluzioni quando si parla di stoccaggio dell’acqua. In Francia esistono anche i “bacini di accumulo collinari” che raccolgono l’acqua piovana e le acque di scorrimento. «È una soluzione interessante, bisogna solo fare attenzione a non metterne ovunque e rischiare di non far più arrivare l’acqua agli affluenti e nel fiume a valle, come succede ad esempio in Australia.
Se li si usa con parsimonia possono essere efficaci», commenta Haziza. Dello stesso avviso, Zaka aggiunge: «ne esistono già in Francia, e in alcuni casi si è creato un nuovo ecosistema intorno a questi bacini con anfibi, uccelli, pesci ecc., in cui sono state installate anche attività economiche e nautiche. I bacini non devono essere privi di biodiversità e devono al contempo sviluppare l’economia per garantire una maggiore accettazione sociale».
Bacini di accumulo, laghetti aziendali e invasi, diverse sono le proposte di cui si parla in Italia. L’Anbi (Associazione nazionale bonifiche irrigazioni) propone di realizzare una rete di circa diecimila laghetti e piccoli bacini alimentati dall’acqua piovana, dal ruscellamento di acque superficiali e dalle sorgenti.
Strutture pensate per essere prive di cemento, nel pieno rispetto della biodiversità. «Può essere una soluzione, a condizione che si tratti di vere riserve di biodiversità, dove l’acqua viene protetta», suggerisce Haziza. «È interessante perché quando si moltiplicano i piccoli bacini si dà accesso all’acqua a più agricoltori e si risolve il problema dell’accaparramento dell’acqua da parte di pochi», aggiunge Zaka.
Il Centro Italiano per la Riqualificazione Fluviale (Cirf) si oppone però alla costruzione di nuovi invasi lungo i corsi d’acqua per evitare il degrado, il consumo dei suoli e l’alterazione del deflusso ecologico e delle portate dei corsi.
Se realizzati, i laghetti dovrebbero anche permettere di produrre energia pulita grazie all’installazione di pannelli fotovoltaici galleggianti con cui produrre energia elettrica. Tolto il fatto che questi travasi potrebbero intaccare lo sviluppo della biodiversità, i due esperti sono comunque d’accordo nel dire che può essere una soluzione innovativa che permetterebbe di «evitare l’evaporazione dell’acqua» e al contempo «produrre energia diversamente».