Sarà perché diffidiamo per istinto dagli unanimismi e dai conformismi, ma questa cosa che tutti, proprio tutti abbiano condannato la cancellazione del limite di 240 mila euro per le retribuzioni pubbliche, non ci va giù. Rischiando l’impopolarità, qualcuno dovrà pur entrare nel merito, e dato che nessuno alza la mano, ci proviamo. Mettiamo da parte la questione inopportunità. È vero: l’idea non è stata tempestiva. Gabbare le commissioni parlamentari ormai in fin di vita, a pochi giorni dalle elezioni, è una sciocchezza. Chi come noi vorrebbe preservare le istituzioni da brutte figure inutili deve dolersene. Ci sono già fin troppi argomenti che indeboliscono la funzione parlamentare e non dobbiamo poi lamentarci se diamo munizioni al populismo.
Nella sua posizione, sviato dal suo ministro, anche Mario Draghi non poteva non essere critico, perché qualunque atto, in una fase come questa, può prestarsi a fraintendimenti. Ma un conto è il modo, e un conto è il merito. Anche perché l’errore, a nostro parere non è di aver tentato di cancellare un principio (basato su un numero molto a casaccio, per di più), ma di averlo introdotto.
Se lo introduci, poi è difficile toglierlo. Un po’ come il reddito di cittadinanza, è stato una forma di peloso assistenzialismo, diseducativo e creatore di lavoro nero, ma se ora lo tocchi diventi un affamatore di poveri.
L’idea è stata di Mario Monti, e la motivazione è sempre la stessa, e cioè quella di appartenere alla politica della segnaletica: in un momento di difficoltà, è un bel segnale. Ma le difficoltà ci sono sempre. Anche adesso contrapporre le bollette care agli aumenti di stipendio è un gioco da ragazzi.
Ma è proprio giusto fissare un tetto? Facciamolo per il gas contro tutte le regole di mercato, ma siamo in un’economia di guerra, e la ragione è sostenibile, almeno in emergenza. Poi, vivaddio, torni il mercato con regole rigide.
Ma se vuoi una prima fila della pubblica amministrazione all’altezza, è normale che livelli di responsabilità (per il pubblico, anche contabile e penale) uguali tra pubblico e privato siano affidati gli uni a una legge (una legge!) e l’altra alla libera contendibilità dei migliori manager? Il rapporto tra quei 240 mila euro e il mercato, arriva a essere anche 1 a 10! Oggi, per fortuna, si è cominciato a reclutare il top management pubblico attraverso le società specializzate di cacciatori di teste, ma queste oggettivamente fanno fatica a formulare proposte.
Eppure, dovrebbe essere interesse di tutti – innanzitutto dei cittadini da 1200 euro al mese – avere in posizioni così delicate gente di grande valore, con regole d’ingaggio severe in caso di flop, come si deve fare in una società industriale complessa come quella attuale.
Il direttore generale del Tesoro, il capo dell’Ufficio delle Entrate, ma anche quello della Guardia di Finanza o equivalenti devono essere professionisti super, presi negli angoli più preziosi della società economica complessiva. Superfluo fare il paragone con gli Stati Uniti, dove anche i ministri li ingaggiano tra i grandi manager di azienda. Guadagnano 20 volte meno, ma scelgono loro, per prestigio e convenienza, non una legge di un Parlamento pauperista, eletto da gente spesso molto sensibile all’invidia sociale e al confronto odioso, cose che sono servite per ottenere i voti.
Lasciamo da parte i moralismi d’accatto, il sussiego, il ciglio alzato e il ditino ammonitore, cerchiamo di essere concreti. Riserviamo se mai qualche critica agli aggiramenti del principio generale. Già, perché poi si scopre che il tetto può essere scavalcato da voci retributive creative.
Mario Draghi stava meglio in Goldman Sachs, ma è stato alla Banca centrale europea quando la retribuzione era attorno ai 400mila euro, Governatore di Bankitalia con un livello ancora più su. Aveva come interlocutori banchieri garantiti da contratti milionari, con stock option e incentivi. Ma il capolavoro d’ipocrisia è proprio la cifra magica 240. Sapete come è stata individuata? Andando a prendere a riferimento la remunerazione del Presidente della Repubblica. Più di lui non si può guadagnare. E perché?
Sottoponendo la decisione a un pool di frequentatori del Bar Sport, sarebbe venuta fuori proprio questa proposta, perché nell’immaginario l’inquilino del Quirinale è il numero uno per definizione. Una cosa a casaccio, senza riferimenti oggettivi, spiegazioni logiche.
Intanto per cominciare quella è una indennità, come la parlamentare, e non uno stipendio. La differenza è importantissima. A Sergio Mattarella non pagano la quattordicesima e le ferie retribuite.
È un accredito, che oltretutto – visti i tempi che corrono – obbligano il beneficiario a far sapere che ha rinunciato a pensioni, vitalizi e quant’altro. Una prassi un po’ umiliante, visto che si tratta di cose che conseguono ad attività regolari svolte nella vita. E comunque: perché 240 mila? Usando i criteri che hanno reso memorabile il libro sulla Casta di Stella e Rizzo, e cioè sostituendo il quanto prendi, con il quanto costi, il presidente della Repubblica vale ben più di quella cifra lorda.
Stella&Rizzo fecero un capolavoro di comunicazione. La busta paga del parlamentare è oggi di circa 5000 euro netti, ma non c’è italiano che non sia convinto che il parlamentare intasca sui 20 mila euro. I più prudenti arrivano a 12 mila. Per forza: gli autori fecero un bel insaccato dentro cui infilare la retribuzione dei collaboratori, i costi dell’ufficio, i viaggi e i soggiorni, le telefonate e tutto quanto consuma il parlamentare. E venne fuori la cifra scandalo.
Applicando questo criterio al Quirinale, dovremmo conteggiare l’affitto almeno pro quota del Palazzo e la sua manutenzione, un po’ di corazzieri, almeno lo staff più a diretto contatto, le tenute presidenziali e relativi soggiorni estivi nelle Caserme della Repubblica, viaggi interni ed esterni, vitto e alloggio garantito, inviti degli ospiti (solo Einaudi divideva le pere a tavola), auto blu, elicotteri e cavalleria.
Secondo il menù della Casta, il presidente dovrebbe incassare (anzi, si dice sempre intascare, perché fa più arrabbiare) almeno 4 o 5 volte di più. Forse sarebbe un tetto più congruo, perché un non tetto. Adesso, viva il bicameralismo, cancelleranno questa vergogna e saremo tutti più ricchi.