«Il voto utile? È quello a noi, così avremo un governo Draghi e non un governo Meloni». Sul Corriere, Matteo Renzi rovescia il ragionamento del segretario del Partito democratico Enrico Letta sulle elezioni del 25 settembre. Mentre i sondaggi di Ipsos sul Corriere e quelli di Demos su Repubblica registrano un ulteriore balzo in avanti di Fratelli d’Italia ai danni della coalizione di centrosinistra, il leader di Italia Viva – alleato con Carlo Calenda – critica le lamentele di Letta sul Rosatellum ricordando che quella legge elettorale è opera proprio del Partito democratico: «È una legge su cui la fiducia non l’ho messa io, l’ha messa Gentiloni che mi risulta iscritto al Pd. E la ministra che in aula disse “pongo la questione di fiducia” era Anna Finocchiaro, iscritta al Pd anche lei».
Poi Renzi si chiede: «Cos’è il voto utile? Per me è mandare gente competente in Parlamento perché se hai gente competente può capitare che anche se hai il 2 per cento riesci a mandare a casa Conte e a portare Draghi. Questo Parlamento è un Parlamento in cui per due terzi si vota nel proporzionale e i voti sul proporzionale sono decisivi per mandare una pattuglia di persone in grado di fare la differenza: 40 parlamentari a noi fa già la differenza e quello è il voto utile. Viceversa se tu pensi che l’unico voto utile sia quello dei collegi uninominali commetti un errore: in molti di quei collegi la partita è già decisa perché Letta ha fatto una scelta suicida».
Secondo Renzi, Letta «aveva due possibilità: o allearsi con i grillini perché al Sud potevano vincere diversi collegi oppure fare un accordo con l’area Draghi, ossia con Calenda e noi. Roso e dominato dal rancore personale verso di me ha chiuso alla prospettiva dell’area Draghi e non se l’è sentita di aprire sul M5S. Oggi fa l’appello al voto utile sapendo perfettamente che sui collegi non tocca palla».
Ma «se la destra ha i numeri e indica Meloni noi stiamo all’opposizione: opposizione seria, civile e costruttiva», precisa Renzi. «Se non ci sono i numeri c’è solo un’alternativa: andare tutti insieme da Draghi e dire “Mario in attesa che noi facciamo la riforma costituzionale governa tu il Paese”, ed è chiaro che in quel caso saremmo in maggioranza. La partita è a due, o vince la destra e va al governo la Meloni o noi facciamo un buon risultato e a Palazzo Chigi ci va Draghi».
Renzi punta a scompaginare lo schema a due. «L’unica cosa che può cambiare gli equilibri in atto è che noi facciamo il 10 per cento, perché così è probabile che si arrivi a un governo Draghi e non a un governo Meloni», dice. «Per arrivare a quella percentuale noi abbiamo due aree dove prendere i voti: il centrodestra moderato, quindi Forza Italia e quel pezzo di Lega che non sopporta più Salvini e quell’insieme di persone riformiste che ha i brividi quando sente dire dal Pd che il Jobs act era il male e il reddito di cittadinanza il bene. Letta ha abbracciato l’agenda del Movimento Cinque Stelle. Quanto alle polemiche non voglio fare la logica “gnè gnè” dell’ha iniziato prima lui, ma tutti i santi giorni Berlusconi da un lato e Letta dall’altro attaccano il terzo polo. C’è un limite di decenza alle bugie. Quando Letta ha detto “ha ragione Meloni, ha torto Renzi” ha fatto uno spot per lei: ossessionato dal rancore per me sta facendo la campagna per Meloni».
E sulle riforme costituzionali, dice: «Sono favorevole all’elezione diretta. In Italia credo che il sistema che funziona meglio sia quello dell’elezione del premier e non del presidente della Repubblica, perché con la nostra Costituzione il presidente deve restare arbitro. Però non mi preoccupa il presidenzialismo, ma significa modificare lo Stato, i poteri del presidente della Repubblica. Comunque fa bene Meloni a proporre una Bicamerale per fare le riforme insieme, io trovo questa idea tutt’altro che disprezzabile».
E Meloni al governo gli fa paura. Ma non perché crede che sia fascista. «Ho paura per i conti pubblici».