Cavalier serventiIl sentiero stretto del governo Meloni e lo sguardo malizioso di Berlusconi e di Salvini

È difficile immaginare che i due maschi alfa del centrodestra se ne staranno buoni accucciati per il resto della legislatura. I problemi per la neo presidente del Consiglio sono appena cominciati

LaPresse

Per la prima volta un’erede di Alleanza nazionale e della fiamma di Giorgio Almirante entra a Palazzo Chigi dalla porta principale: una giovane donna ha avuto il coraggio di sfidare colui che nel lontano 1993 sdoganò i missini di Gianfranco Fini.

Ieri, al Quirinale, il fondatore del centrodestra, impacciato e silenziato accanto a Giorgia Meloni, era l’ombra di se stesso. La mimica della faccia e del corpo di Silvio Berlusconi e i sorrisi tirati su un volto incartapecorito tradivano l’umiliazione del re che ha dovuto passare lo scettro obtorto collo. E poi le sopracciglia che si sono alzate quando la signora della Garbatella ha sottolineato l’indicazione unanime del suo nome al Capo dello Stato, quello scambio di sguardi con l’incredulo Matteo Salvini, anche lui ridotto a cavalier servente.

È difficile immaginare che i due maschi alfa del centrodestra se ne staranno buoni accucciati per il resto della legislatura. E che diranno signorsì tutte le volte che la presidente del Consiglio vorrà finanziare Zelensky e opporrà i suoi No insieme col ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti, che dovrà trovare da qui a pochi giorni quaranta miliardi per fare fronte al caro energia e alla recessione incombente. 

Il ministro uscente Daniele Franco considera il leghista che gli succederà a via XX Settembre «adattissimo» a quell’ingrato compito. È già chiara l’antifona: sembra tracciato il sentiero stretto che dovranno imboccare quei due signori afoni e la stessa Meloni. Il suo sfogo identitario si manifesterà sul piano dei diritti civili e ha un’impronta nella nuova denominazione di alcuni ministeri. 

Lo Sviluppo economico si chiama Imprese e Made in Italy; l’Agricoltura diventa anche della Sovranità alimentare. Pennellata tradizionalista con Eugenia Roccella alla Famiglia e alla Natalità. Cinque ministeri a Forza Italia, uno in più della Lega, così Berlusconi si acquieta. Anche perché l’ex presidente del Consiglio è riuscito a piazzare Paolo Zangrillo, fratello del suo medico personale, alla Pubblica amministrazione.

Salvini e Tajani vicepremier per blindare la coalizione. Lo stesso Tajani agli Esteri garantisce atlantismo e compensa il putinismo del Cavaliere. Super ministero a Raffaele Fitto, il meloniano in Europa presso i Conservatori, il quale oltre agli Affari europei si occuperà del Pnrr. Meloni si tiene stretto, e non lo dà a Noi Moderati di Maurizio Lupi, i Rapporti con il Parlamento come si credeva fino a ieri: ora è in mano al suo ex capogruppo al Senato Luca Ciriani.

Al di là delle denominazioni e dell’impronta conservatrice, Meloni si presenta all’Occidente e a Washington con il più credibile Guido Crosetto alla Difesa. Presto dovrà chiudere nel guardaroba i panni della sovranista per fare le sue mosse sulla scacchiera europea. Dovrà prendere le distanze dall’ungherese Viktor Orbàn e scegliere da che parte stare nella partita che si è aperta tra Berlino e Parigi.

Sentirà a lungo l’applauso che ieri il Consiglio europeo ha tributato a Mario Draghi, il quale le lascia un ottimo e solido punto di partenza. E il successo ottenuto sull’accordo che riguarda l’energia. Ora spetta a lei non disperdere questa eredità di competenza e di serietà.