Dopo aver introdotto quanto sia ancora oggi sfidante il ruolo attivo delle aziende nella cultura, analizziamo nel dettaglio tre casi di aziende virtuose in cui il marketing è solo un elemento di ricaduta – innegabile – ma non la ragione d’essere di tutta la strategia di sviluppo del binomio azienda-cultura. Cominciamo da Bruno Paneghini, fondatore della Reti SpA, che ha messo a disposizione dell’impresa la propria collezione personale costruita dal 2010 insieme alla moglie Ilenia.
Bruno Paneghini (1964) dopo i primi anni all’Olivetti, fonda la Reti SpA nel 1994. L’azienda è oggi quotata alla Borsa di Milano, ha sede a Busto Arsizio e opera nel settore IT Consulting e, in particolare, nella System Integration dando lavoro a 400 persone. La collezione resta di proprietà dell’imprenditore, anche se è esposta quasi totalmente in azienda. L’obiettivo è quello olivettiano di rendere il luogo di lavoro non solo confortevole, ma anche stimolante attraverso il contatto con il “bello”. L’approccio dell’imprenditore al portare l’arte in azienda è tanto visibile a livello fisico quanto discreto, forse anche troppo, in termini di comunicazione interna ed esterna. Questo pudore d’altri tempi è sinonimo del grande rispetto e dedizione di Bruno Paneghini per l’azienda e la comunità in cui si colloca: ogni scelta e intervento viene fatto in “punta di piedi” pensando sempre alla sostenibilità dell’impresa stessa nel futuro.
Le origini
Come spiega l’imprenditore, «la collezione entra in azienda, seppur rimanendo di proprietà privata, a partire dal 2012. Condividere questa collezione in azienda è stato un passaggio quasi naturale. Il mio paradigma da sempre è “casa e bottega”. L’esperienza imprenditoriale per me è sempre stata un qualcosa di totalizzante e identitario, parte di una visione che ho del vivere. Il 2012 non è un anno casuale, ma un momento di passaggio per me e per l’azienda, che aveva bisogno di espandersi anche a livello fisico e logistico. Prese così forma la concezione di Campus Reti oggi principale asset dell’azienda».
Il Campus, aggiunge Paneghini, «è un insieme di immobili che occupano 20.000 mq frutto della riqualificazione degli stabilimenti del cotonificio Venzaghi che negli anni 60-70 dava lavoro a 1000 dipendenti. Il Campus nasce per la volontà e necessità di avere un luogo di confronto tra i dipendenti, sempre più numerosi, dell’azienda che spesso (trattandosi di consulenza) lavorano presso i clienti. Ho quindi l’intuizione di dare un’anima a quelle pareti con l’arte: ho quindi portato la mia collezione d’arte nata due anni prima in azienda, l’ho messa a disposizione di tutti. Ho mutuato questa visione da Adriano Olivetti, avendo iniziato la mia carriera proprio nella sua azienda. Sono fortemente convinto che lavorare nel bello renda migliore la qualità stessa del lavoro; permette alla mente di chi lavora, magari anche sotto stress, di prendere fiato, di ricaricarsi per essere ancora più creativi».
La collezione oggi
La collezione e il Campus Reti hanno dato vita a un dialogo sempre più simbiotico e sincretico, che ha dato vita a uno spazio sempre più organico e funzionale, rispettoso e motore stesso di continua innovazione. Delle 300 opere che compongono la Collezione, solo il 5 per cento è in casa dell’imprenditore, un 5 per cento è in attesa di essere esposto nei nuovi spazi del Campus Reti e il restante 90 per cento è già esposto in azienda. L’arte, all’interno degli edifici, è così importante da esser diventata un reale e tangibile filo conduttore che, unendo tra loro i diversi building altamente tecnologici, accompagna chi vive questo spazio attraverso un percorso in continuo movimento. Infatti, negli anni la collezione ha incontrato l’azienda, finendo inevitabilmente per integrare i diversi linguaggi di espressività.
La collezione è quindi diventata anche uno strumento importante per dare corpo e palesare le capacità e i servizi per lo più immateriali core della gestione caratteristica dell’azienda: tutto l’allestimento delle opere è perciò caratterizzato da una forte componente tecnologica, come ad esempio la domotica e l’impianto illuminotecnico. Non solo, la natura stessa della collezione si sta evolvendo nella selezione di opere realizzate con materiali non convenzionali e in cui la componente tecnologica è sempre più forte.
Come spiega Paneghini, «dopo l’acquisizione di importanti pezzi di arte cinetica, abbiamo selezionato due importanti video installazioni di Fabrizio Plessi (2018) e del duo Goldschmied & Chiari (2021). Quest’ultimo è stato realizzato nel Campus Reti per poi essere messo in mostra all’ultima Biennale di Venezia (in corso). Del resto, l’innovazione è tutto anche nell’arte; magari un domani acquisiremo anche delle opere Nft». Peculiarità della collezione di Bruno e Ilenia Paneghini è l’assenza di filoni specifici. I collezionisti sono onnivori e i loro interessi vanno dal design ai libri rari, passando per l’arte. Con gli anni è cresciuto l’interesse nel conoscere e lavorare insieme agli artisti. Tra le opere di riferimento della collezione ci sono quelle di maestri come Calzolari, Kounellis e Spalletti, ma anche recenti acquisizioni di artisti in ascesa come Stefano Cescon, Franco Mazzucchelli, il duo Vedovamazzei e Marinella Senatore con “Dance First Think Later”, opera, inno alla speranza e alla ripartenza, Premio Acacia nel 2021.
Bruno Paneghini infatti spiega che «per quanto riguarda lo sviluppo della collezione Ilenia ed io continueremo a comprare ciò che più ci piace senza fini speculativi, cercando anche di sostenere i giovani artisti nella loro crescita. Stiamo dando anche un’attenzione sempre maggiore alla possibilità di conoscere di persona gli artisti e di “costruire” progetti insieme. Ci piace l’idea di opere costruite e pensate per un luogo – l’azienda – ma che possano vivere anche al di fuori. Perciò site specific sì, ma mai ingombranti e limitanti l’attività ed elasticità che il Campus deve mantenere».
Arte-azienda: né marketing, né comunicazione
Elemento peculiare del progetto arte-azienda di Bruno Paneghini è la quasi totale assenza di comunicazione ai fini di marketing di quanto fatto. «Amiamo l’arte, e quando ami qualcosa non è contemplato il fatto di poterlo vendere. Non abbiamo creato una collezione per fini speculativi e per me l’arte non è nemmeno uno strumento di marketing di cui avvalermi per promuovere l’azienda. Certo sono convinto che l’arte crea comunità e partecipazione e ciò ha ricadute sulla produttività e sull’efficacia della comunicazione anche con i clienti finali. Mostriamo quanto siamo creativi, che la tecnologia è realtà, ma non è il fine immediato della collezione, se mai è una forma nuova di comunicazione con una prospettiva di lungo termine. L’azienda non produce arte, è l’imprenditore che ritiene che per fare business bene, il bello possa aiutare. La mia visione di azienda del nuovo millennio, è quella di un’azienda che persegue indubbiamente la profittabilità, ma al tempo stesso porta un impatto positivo sulla società e sul territorio».
Tale forte discrezione si riscontra anche nella comunicazione, minima se non addirittura eccessivamente scarna, dei successi e dell’evoluzione della collezione anche ai dipendenti dell’azienda. Ogni opera esposta è accompagnata dalla biografia dell’autore (non però dalla spiegazione). L’imprenditore stesso è colui che risponde a eventuali dubbi sulle opere delle persone che lavorano in Reti, anche perché la maggior parte dei dubbi e curiosità riguardano sempre l’aspetto tecnico delle opere. Del resto Bruno Paneghini pone un’attenzione enorme al rispetto sostanziale nei confronti delle persone che vivono e sono l’azienda emerge chiaramente anche nel comprendere come la vera sfida sia stata e sia la comprensione da parte di tutti della visione arte-cultura, non così scontata all’inizio per un’azienda che si occupava di informatica.
Bruno Paneghini ci spiega come fosse «consapevole di dover prestare particolare attenzione a condividere e rendere comprensibile la mia visione a chi lavorava con me. Non è possibile ignorare le sfide che ogni cambiamento pone tra cui anche la comprensibile paura degli individui ad uscire dalla propria zona di benessere. Ciò che ancora non si conosce può spaventare. Per questo motivo abbiamo lavorato a rendere tutti i cambiamenti accessibili e comprensibili a tutti, compresi i dipendenti e le persone che lavorano con noi, che per un’azienda di consulenza come la nostra sono il cuore stesso del business».
Futuro
Bruno Paneghini non ha costituito la collezione con l’idea di fondare un museo, anche se il rapporto con la comunità e non solo i dipendenti dell’azienda è un elemento forte. L’imprenditore è molto legato al suo luogo d’origine e organizza spesso l’apertura di Campus Reti a tutti i cittadini di Busto Arsizio, prestandosi a spiegare lui stesso la collezione d’arte. Curioso perciò comprendere quale sia la visione dell’imprenditore e di sua moglie sul futuro a lungo termine di una collezione così vasta e articolata: la collezione confluirà alla fine nell’azienda.
«Per quanto riguarda il lungo periodo – spiega Paneghini – per noi l’arte è aggregazione ed è vitalità. Non abbiamo al momento il desiderio di chiudere le opere d’arte in un Museo o luogo a sé, sarebbe contrario al disegno iniziale e alla mia concezione di azienda in cui il bello è la base per lavorare meglio e non solo uno strumento di contemplazione e/o di espressione culturale da passare ai posteri. Per me l’arte è viva se è in azienda. Per il passaggio generazionale, non avendo figli, alla nostra dipartita, la collezione d’arte confluirà interamente nelle disponibilità dell’azienda».